Le Champions League, il Milan, Inzaghi, Sacchi e non solo. Ancelotti si racconta a RSI

Carlo Ancelotti, ospite de LARMANDILLO di Armando Ceroni su RSI, ripercorre la sua carriera rossonera tra campo e panchina, ma non solo. Queste le sue dichiarazioni:
Sul provino all’Inter quando giocava al Parma: “Non mi presero perché si è detto che il presidente del Parma, Ernesto Ceresini, avesse alzato il prezzo dopo la partita. Ho un bellissimo ricordo perché per la prima volta gioco con i miei idoli: da Bordon, Canuti, Bini, Altobelli… Anche se il mio vero idolo da ragazzino era Sandro Mazzola”
Sulla finale ai rigori contro la Juventus: “Nella finale del 2003 ho mandato al tiro tre difensori che erano Serginho, Kaladze e Nesta perché non trovavo altri. Vero anche che avevo tolto Pirlo e Rui Costa ma non è stato semplice trovare cinque tiratori. Cosa che ho trovato nel 2005 (contro il Liverpool a Istanbul, ndr), tutti bravi, solo che c’era Dudek che, con le regole di oggi, si sarebbero tirati di nuovo tutti i rigori”
Cosa è successo a Istanbul? “Ho fatto i complimenti ai giocatori per quello che avevano fatto, ribadisco il concetto che gli inglesi non mollano mai e che sarebbe stato importante fare bene l’inizio della seconda parte. Poi è successo quello che è successo. Noi il secondo tempo lo iniziamo bene, ha avuto una palla Shevchenko e si poteva andare 4-0: poi ci sono stati sei minuti di follia. Poi però abbiamo ricominciato e abbiamo fatto bene. Tra tutte le finali giocate dalle mie squadre, quella a livello tecnico è la finale migliore”
Sulla partita contro il Manchester, semifinale di andata persa nel 2007 in Champions: “Anche lì, il gol finale dello United cambia un po’ la preparazione psicologica del ritorno perché eravamo costretti a vincere e il Manchester era consapevole che aveva un piccolo vantaggio. Non ho preso la sconfitta come una cosa troppo negativa”
A Milanello si respira un clima particolare alla vigilia della Champions? “Credo che Milan e Real Madrid siano le società che hanno un occhio speciale alla Champions League perché tutti e due i club hanno costruito la loro storia su questa competizione. L’ambiente speciale che si respira in queste squadre per la Champions è diverso da altri contesti”
Sull’arrivo al Milan da giocatore, voluto da Sacchi e non tanto da Berlusconi: “Avevo avuto due infortuni che mi avevano tenuto fuori due anni. C’era qualche dubbio a livello fisico. Sacchi ha spinto forte e sono andato al Milan. L’arrivo di Sacchi ha cambiato la metodologia e la filosofia del gioco in Italia: è stato un grande innovatore. Abbiamo fatto un po’ fatica all’inizio ma dopo dicembre la squadra volava, avevamo proprio piacere di scendere in campo. Era un altro calcio, era un modo diverso di allenare: prima di lui c’era il riscaldamento, 25 minuti di partita e i tiri in porta; con lui ci sono i possessi, la tattica difensiva, combinazioni offensive, lavori di forza, aerobici. Dopo la prima preparazione di un mese con Sacchi mia madre non mi ha riconosciuto: ero dimagrito talmente tanto che mia mamma ha avuto difficoltà a riconoscermi e dopo mi ha dato una mano con la sua cucina”.
Sacchi com’era con te? “Era un allenatore esigente con tutti. Ha avuto grandi scontri con van Basten a livello tattico. Però si discuteva, non si arrabbiava. Amava parlare di quello. Era esigente, chiedeva molta concentrazione”.
La serata delle luci al Velodrome a Marsiglia. Come hai vissuto quella situazione? “L’abbiamo vissuta male. Era una partita molto complicata, non avevamo molte speranze di passare il turno, l’abbiamo vissuta come una decisione che per forza di cose dovevamo rispettare. Era una decisione del club. Niente di più”.
Un giocatore quindi deve fare sempre quello che dice il club, anche se ha un’idea diversa? “Di questo mondo il calciatore e l’allenatore è la parte più debole. Non siamo noi che prendiamo le decisioni dei calendari, di come strutturare le cose. Sono sempre i club, le federazioni, le leghe, la FIFA e la UEFA. Noi saremo sempre la parte più debole di questo mondo”.
E non si può far niente? “Sperare che gli organismi che decidono tutto questo si mettano d’accordo. Ma l’aspetto economico prevale e trovare un accordo tra ognuno di questi organismi diventa difficile, per questo adesso si rischia di giocare 80 partite l’anno”.
Poi il Milan viene squalificato per un anno dalle competizioni europee. Si è chiuso un ciclo? “Sacchi va in nazionale, si chiude un ciclo ed il Milan è capace di riaprirne un altro con Capello per la forza e la struttura che hanno società e club. Io decido di andare da Sacchi”.
Su Pippo Inzaghi: “Quando hai un giocatore che ha fatto 50 gol nella competizione e poi hai un altro come Gilardino, più giovane, che stava meglio di Inzaghi ma aveva fatto 2-3 gol, mi sono fidato della statistica e di come i due potevano arrivare alla partita (quarti di finale contro il Bayern Monaco, ndr. Sicuramente il timore di Gilardino e la grande energia di Inzaghi. Lui sapeva che non era al 100%”.
Col VAR avrebbe fatto molti gol in meno… “Non lo so. Inzaghi è un grande talento per te?”.
Dal punto di vista mentale, sì. Poi dal punto di vista tecnico è scarso: “Esatto. Anche secondo me è un grande talento, era capace di leggere situazioni e smarcamenti che nessun altro era capace di fare. Inzaghi ha fatto più di 300 gol ma credo che a più di un tocco non ne ha fatti più del 10%”.
Il gol in finale di Champions del 2007 su punizione di Pirlo: “Potrei dirti che era uno schema preparato ma no (ride, ndr). Pirlo che tira addosso ad Inzaghi… Pensa che era successo anche in un derby mesi prima. Invece il secondo gol, l’assist di Kaká, era uno schema preparato”.
Con la vittoria nel 2007 ti sei liberato di quello che era successo due anni prima? “Sì. Era un segno del destino. Il fatto di rigiocare una finale dopo due anni era un segno del destino”.
Hai detto no alla Nazionale… “Ho detto no alla Nazionale italiana perché non avevo voglia di... mi piace molto stare tutti i giorni al campo a preparare gli allenamenti, e la Nazionale mi sembrava un part time che mi faceva perdere un po’ di passione. Solo per questo”.

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