UP & DOWN - Gli errori di Pippo, salvate il soldato Jack e altre storie
Qualche giorno fa, sulla timeline del mio Twitter (che uso raramente), ho intravisto una foto. Ritraeva tre ragazzi in “gita” a New York: Andriy Shevchenko, Paolo Maldini e Bobo Vieri, felici e spensierati. Un’immagine che stride con quello che sta vivendo oggi il Milan, la squadra più importante della carriera di due di questi tre personaggi (anche il terzo c’è passato, ma per poco), e che mi ha trasmesso una grande nostalgia. Continuiamo su questo filone: altra scena, altra istantanea. Un fotogramma, per l’esattezza. Quando penso a Filippo Inzaghi, mi vengono in mente due momenti in particolare: il gol realizzato contro l’Ajax (nel cuore di tutti i tifosi resta sempre suo, anche se ufficialmente è stato attribuito a Tomasson) e la doppietta nella finale di Atene. Quando Pippo supera Reina per la seconda volta, in un replay successivo, la regia ci mostra la reazione nella tribuna autorità, dove sono seduti, uno di fianco all’altro, Abete, Galliani e Berlusconi. Si vede Galliani esultare indemoniato, mentre Abete tenta di esorcizzarlo. Berlusconi, invece, rimane impassibile, distaccato. Per me, questa è la scena madre del film andato in onda negli ultimi otto anni. È il passo d’addio definitivo del presidente, un uomo che, solo dieci mesi prima, aveva lasciato andar via il suo pupillo Shevchenko, prendendo la decisione di abbandonare in maniera definitiva il suo giocattolo preferito. Dopo quella Champions, il Milan non sarà più lo stesso, neanche durante la parentesi vincente targata Ibrahimovic. Società allo sbando, scelte discutibili di mercato, allenatori ingaggiati, difesi e improvvisamente scaricati, bandiere ammainate, trattate senza riguardo e riposte nel dimenticatoio. Il caso di Maldini è emblematico: il capitano, il simbolo, il condottiero di infinite battaglie (e tante storiche vittorie), è stato bandito dal regno. Pippo sarà solo (anzi, lo è già) l’ennesima vittima del vortice di mediocrità in cui il Diavolo è stato risucchiato. Questo lungo crepuscolo è la rovina per chi, in quel Milan meraviglioso, è stato protagonista e trascinatore. Clarence Seedorf lo aveva capito e ha tentato di cambiare le cose, ricevendo il benservito. Un suo ritorno non è nemmeno lontanamente immaginabile. Inzaghi, invece, non ci ha nemmeno provato, mettendoci del suo e mostrando tanti limiti. Eppure, un girone fa, i rossoneri viaggiavano quasi a gonfie vele, spinti dalla voglia di lasciarsi alle spalle l’ultima stagione. Non è chiaro il momento in cui il mister abbia mollato, non è chiaro per quale motivo l’entusiasmo dei primi mesi sia prima scemato e poi scomparso del tutto. Fatto sta che, di colpo, c’è stato un crollo totale, sotto ogni punto di vista. Al Milan serve un allenatore con le idee chiare, che dia un’impronta precisa di gioco, che capisca il perché di tanti infortuni e perché la squadra fisicamente e atleticamente soffra qualsiasi altra formazione di Serie A. È chiaro che Inzaghi, oggi, non possa essere utile alla causa, così come qualsiasi altro uomo di fiducia in proiezione futura (“Brocchi al Milan” sa più di amara constatazione dei fatti). Quello che serve è gente esperta, di polso, convinta delle proprie parole, delle proprie azioni e delle proprie idee. Qualcuno in grado di trasformare un’accozzaglia di solisti in un’orchestra solida e compatta.
COSA VA - Tre pareggi e sei punti conquistati contro avversari alla portata sono una miseria, ma di buono c’è che almeno il Milan è imbattuto da quattro turni. A parte l’harakiri al 95’, i difensori sono stati sempre ordinati e concentrati. Una conferma, dopo due partite senza subire reti, e un grande rimpianto per i soliti errori dei singoli, costati due punti che sembravano già in cascina. Bonaventura come sempre predica nel deserto, senza trovare oasi nelle quali trovare conforto dopo gli sforzi profusi. Un appello disperato: Salvate il soldato Jack.
COSA NON VA - Non ho mai criticato Muntari a prescindere, perché ritengo che non sia più scarso di tanti altri centrocampisti molto meno tartassati dalla stampa e dai tifosi. Quello che gli rimprovero, però, è la sua abitudine a “scollegare” il cervello in ogni match, almeno in un’occasione. Puntuale, questa consuetudine si è verificata anche contro l’Hellas: fallo inutile in area di rigore e penalty assegnato ai veronesi. Ci risiamo, Sulley. L’errore di Bocchetti è talmente grossolano e determinante che l’ex genoano meriterebbe di accomodarsi in panchina fino alla fine del campionato. Ma sappiamo tutti che la responsabilità del pareggio è di una sola persona, il tecnico. Cerci ha sprecato un’altra opportunità, fornendo una prestazione insufficiente, a tratti svogliata, senza regalare una giocata degna delle (anche legittime) perplessità rivolte da tutti nei confronti di Inzaghi per il suo scarso impiego. E poi c’è “la solitudine della prima punta”. Pazzini, Destro e Torres, ovvero i tre centravanti schierati nelle 26 giornate di campionato fin qui disputate, hanno messo a segno la bellezza di tre reti. Le stesse che Niang (zero gol nel Milan in 33 apparizioni in campionato) ha siglato con la maglia del Genoa nel giro di un mese. Il non-gioco del Milan va ad incidere soprattutto sul rendimento degli attaccanti: meno occasioni da rete crei, meno possibilità ha il bomber di incidere e fare quello per cui è pagato. Segnare, appunto. Per qualche strana ragione, sembra che Inzaghi stia tentando di danneggiare i suoi finalizzatori. Da un vecchio rapinatore d’area proprio non ce lo saremmo aspettati.
IL MISTER - A due terzi di campionato, il bilancio è obbligatorio e, a giudicare dalle voci insistenti di un cambio in panchina immediato, non può essere positivo. Il “mister entusiasmo” ammirato fino a metà ottobre, si è trasformato in una sorta di “Mazzarri 2”. In pratica, tutto quello che avremmo volentieri evitato. Pippo sembra non rendersi conto dell’assurdità di alcune dichiarazioni, né di quello che i suoi ragazzi (non) fanno in campo. Né, probabilmente, delle sue scelte. Il cambio Pazzini-Bocchetti, sul 2-1, è il colpo di grazia ad una squadra già priva di certezze e di coraggio. Togliere un attaccante e inserire un difensore è un chiaro sintomo di paura, è un segnale lanciato all’avversario: “Io rinuncio a giocare. Attaccami pure”. Avevamo già visto qualcosa del genere a Torino, ma in quel frangente eravamo in inferiorità numerica e in netta difficoltà, quindi ci poteva stare. Non ci sta in casa, contro il Verona, quando devi instillare un messaggio di serenità e hai bisogno di portare a casa i tre punti o almeno una prova convincente. Potrebbe essere l’ultimo,grave errore commesso da Inzaghi alla guida del Milan.