Ambrosini, la diga è tornata insuperabile
Se na andò in prestito al Vicenza, insieme a Francesco Coco, nel giugno del lontano 1997, a soli 20 anni, con una certezza nel cuore: fare esperienza e tornare a vestire la maglia del Milan con la quale aveva vinto, da comprimario e a soli 18 anni, lo scudetto due anni prima. Con i biancorossi veneti, arrivò alla semifinale della Coppa delle Coppe dove il sogno di portare il Vicenza alla prima finale europea della sua storia venne interrotto dal Chelsea. L'ottima stagione alla corte di Guidolin convinse i dirigenti rossoneri che quel biondino era pronto per tornare alla casa base, vista anche la partenza di Marcel Desailly e così Massimo Ambrosini tornò a vestire la maglia rossonera prendendosi quel numero 23, in onore di Michael Jordan, che non ha più mollato. Il centrocampista pesarese impressionò fin da subito il neo tecnico rossonero Alberto Zaccheroni che lo affiancò ad Albertini nel cerchio di centrocampo dove risultò essere uno dei migliori di quell'anno terminato con il trionfo tricolore di Perugia. Da li in avanti, per colui che è stato ribattezzato Arsenio Lupin, è iniziata una carriera fatta di molte soddisfazioni ma anche costellata da una miriade di infortuni che ne hanno messo a rischio la carriera ad alti livelli. Ma Max non ha mai mollato e dopo essersi frantumato il ginocchio in un match contro la Reggina del Febbraio del 2001, è tornato in campo con gol decisivi per il raggiungimento del 4° posto nella stagione 2001/02. Forte fisicamente e dotato di una buona tecnica, Ambro è un acchiappa-palloni unico nel panorama italiano ed Europeo. Nelle ultime tre stagioni di Ancelotti, con l'abbandono del rombo classico, Massimo ha ritrovato il posto da titolare e, soprattutto lo scorso anno, ha dimostrato di essere tornato una diga insuperabile per ogni avversario che gravita nella sua zona di competenza. Dopo l'addio di Paolo Maldini è stato lui a raccogliere la pesante eredità della fascia di capitano che sta onorando con tutto il cuore. Osannato dalla Curva e non solo, la diga rossonera sta dimostrando di essere una delle ultima bandiere rimaste in un calcio dove la fanno da padrone i soldi e il business.