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Sua immensità il Capitano

di Milan Day

“Il Capitano, c’è solo il Capitano” è stato il coro che lo ha accompagnato per quasi tutta la sua carriera, e non è azzardato affermare che lui sia da considerarsi IL Capitano per eccellenza della nostra storia. La fascia al braccio del condottiero rossonero ha assunto nel tempo un valore assolutamente unico, se si considera che dal dopo-guerra ad oggi sono stati pochissimi gli uomini ad averla portata al braccio, questo a dimostrazione che il simbolo del comando è stato detenuto da persone speciali e selezionate della nostra storia. Tutti hanno dei meriti incredibili ed hanno degnamente rappresentato la maglia rossonera, ma tra tutti c’è n’è uno che più di ogni altro ha legato il suo nome e la sua faccia a quello dell’AC Milan fino a diventare una cosa sola, e cioè Franco Baresi! Qual è il segno particolare di Franco Baresi? Semplicemente l’aver voluto attraversare insieme ai suoi tifosi i momenti più bui e difficili della nostra esistenza sportiva, quelli dell’inferno della serie B (e per ben due volte). Erano gli anni in cui le grandi avrebbero fatto carte false per averlo, ma nonostante ce ne fossero tutti i motivi, Franchino (così risulta all’anagrafe), a differenza di qualcun altro (leggi Collovati), decise che toccava a lui riportare il Milan nel posto che gli spettava, e cioè tra le grandi! Fu proprio in occasione della seconda retrocessione (a soli 22 anni) che il ragazzo di Travagliato divenne il capitano rossonero, compito che in seguito portò avanti per 15 anni consecutivi, fino al giorno in cui smise di giocare (01/06/1997). Ecco la grandezza del personaggio, quella di essere stato per una vita intera una sorta di fratello maggiore a cui ci siamo aggrappati nei momenti più difficili ed insieme al quale abbiamo esultato nei momenti più felici: nel bene così come nel male lui c’è sempre stato, con la sua maglia fuori dai pantaloncini e con quella sua corsa con le braccia basse. Qualcuno ha detto che Franco Baresi incarnava “il prototipo del milanista perfetto, un concentrato di classe, grinta ed umiltà”. La maglia rossonera fu la divisa della sua esistenza. Curiosa la storia del suo approdo al Milan. Dopo essere stato scartato dai cugini interisti (che in compenso presero suo fratello Giuseppe) per la sua gracilità, all’età di 14 anni fece il suo primo ingresso a Milanello. Le tristi vicende della vita lo avevano costretto a crescere in fretta, e con la stessa velocità bruciò tutte le tappe che lo portarono in prima squadra ed in serie A. Qualche giorno prima di compiere 18 anni (il 23 aprile 1978) , Niels Liedholm lo fece esordire a Verona contro l’Hellas nella terz’ultima giornata del campionato 1977/78 (vittoria del Milan per 2-1), e la sua prestazione impressionò tutti per classe e personalità. Non ci mise molto il Barone a capire che aveva per le mani un campione, e nella stagione successiva decise di promuoverlo tra i titolari, undici da cui non uscirà più per ben 20 anni! Fu subito scudetto, quello della sospirata Stella. Col gioco dello svedese assimila i principi del gioco a zona imponendosi come miglior interprete del ruolo di ultimo uomo. Grande senso della posizione, eccezionale velocità negli spostamenti e nei recuperi, una grande tecnica accompagnata da una grinta fuori dal comune, una ottima visione di gioco e, all’occorrenza, una cattiveria che faceva paura, una capacità straordinaria di ribaltare l’azione in pochissimo tempo: un mix perfetto che ne ha fatto uno dei giocatori più completi della storia del calcio italiano, europeo e mondiale. Il talento gli permise di approdare da subito in Nazionale, risultando tra i convocati di Bearzot sia agli Europei del 1980 che ai vittoriosi Mondiali del 1982. Ai mondiali spagnoli Baresi ci andò nonostante il suo Milan fosse finito per la seconda volta della sua storia in serie B, ma la presenza del titolare juventino Scirea non gli permise di vedere il campo neanche per un minuto. Il rapporto col CT azzurro non fu mai sereno, tanto che Bearzot era fissato dall’idea di poterlo impiegare come mediano a centrocampo, ruolo che il Piscinìn non gradiva per niente. Sarà solo con l’avvento di Vicini (dopo il flop dei mondiali messicani dell’86) che Baresi diventerà titolare inamovibile anche con la maglia azzurra. L’avvento di Vicini in Nazionale coincide con l’avvento di Silvio Berlusconi alla presidenza del Milan, una svolta clamorosa per tutto l’ambiente milanista e per la carriera del Capitano in particolare. Dopo sette stagioni buie e drammatiche, che erano seguite alla splendida cavalcata della Stella, stava per nascere l‘epopea del Milan più vincente della sua storia, ed a guidarlo per tutti i campi d’Italia, d’Europa e del Mondo c’era colui che l’aveva guidato sui polverosi campi di provincia della serie cadetta, Franco “Kaiser Franz” Baresi, capitano di mille battaglie! Il primo Milan di Arrigo Sacchi fu un complesso perfetto, basato su un gioco straordinario e spettacolare ma, nello stesso tempo, su una difesa impeccabile. Mitica ed implacabile la difesa a quattro formata da Tassotti, Costacurta, Baresi e Paolo Maldini, una linea che sotto la sapiente guida del suo capitano si muoveva all’unisono per mettere decine, centinaia e migliaia di volte in fuorigioco gli attaccanti avversari. Il suo braccio alzato a segnalare il fuorigioco divenne l’immagine simbolo del numero 6 rossonero, e dopo ogni sbandieramento dei guardalinee un ghigno di soddisfazione sembrava solcare il suo viso Vincerà tutto in quelle stagioni a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, e ripeterà decine di volte il gesto di sollevare le coppe ed i trofei conquistati con il suo Milan. L’aver partecipato a tutte le amarezze dei primi anni Ottanta, gli fecero sentire ancor più sue le gioie di quegli innumerevoli trionfi: lui, insieme a Tassotti, più di chiunque altro si rendeva conto di quello che il tifoso rossonero provava in quei momenti, una rivalsa che spingeva a fare sempre meglio.
Il ciclo vincente proseguì anche col Milan più pragmatico di mister Capello (di cui era stato anche compagno di squadra), un ciclo che ancor più di quello sacchiano fece leva sulla solidità della fase difensiva. Gli strabilianti risultati e la enorme solidità fece nascere il mito degli Invincibili, e lui, chiaramente, ne era il leader assoluto!

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