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Senza proseliti

di Francesco Somma

La ferita è ancora aperta, è inutile provare a non pensarci o voltarsi dall’altra parte. E’ vero: probabilmente molti di noi si sono messi l’anima in pace, ma ciò non toglie che ogni tanto la voglia di guardarla da vicino, quella ferita, ci prenda, spingendoci a riflettere ancora. Sulle ragioni per cui la Juve ha vinto e il Milan ha perso, ognuno ha dato la propria interpretazione: chi scrive è convinto – in buona compagnia – che i Campioni d’Italia siano divenuti tali perché ci hanno messo più voglia, perché hanno mantenuto dall’inizio alla fine quella fame che i rossoneri hanno smarrito per strada. Ma c’è anche un’altra cosa che suscita un pochino di invidia: il gruppo. Pensiamo per un attimo agli spogliatoi (a quello che noi possiamo sapere degli spogliatoi) di Juve e Milan. Dal primo non trapela nulla se non la coesione di una squadra pronta, al minimo tentennamento, a schierarsi a testuggine intorno al suo allenatore. Dal secondo vengono fuori, puntuali e malcelati, disordini, brusii e discussioni che – come tutti i momenti di tensione – non lasciano una scia incoraggiante. Ognuno ha il suo modo di fare l’allenatore, ognuno instaura con i giocatori il rapporto che reputa più giusto. C’è chi riesce ad entrare nella mente dei propri uomini, a condividerne (o a far finta di condividerne) le gioie, le ansie e le insicurezze, e chi procede fin dall’inizio e senza giri di parole, ad una netta separazione dei ruoli. Per i primi, gli atleti – per loro stessa ammissione (tratta da “Io, Ibra”) – sarebbero pronti a morire; verso i secondi fanno invece fatica a nutrire sentimenti positivi. Massimiliano Allegri rientra nella seconda categoria, che non è quella dei cattivi, ma è di gran lunga quella meno “rassicurante”, perché da un po’ di tempo a questa parte, dovunque ci si volti si origlia di un battibecco all’interno dello spogliatoio, e di un clima non fondato esattamente sulla coesione. Allegri non ha mai pensato di fare dei propri calciatori degli amici a cui confidare tutto e da cui ricevere confessioni; fin dall’inizio ha agito senza la voglia di spiegare le proprie scelte, futili o importanti che siano; non ci tiene a risultare simpatico, né  alla stampa e ancora meno ai suoi ragazzi. La più classica delle filosofie “aziendaliste”, insomma, dove ognuno ha il suo compito e guai ad andare oltre. Così, quello che un tempo era lo spogliatoio di una “grande famiglia”, oggi è lo spogliatoio di un’azienda nervosa perché consapevole di non poter più fallire, ma al lavoro verso il consolidamento di una filosofia fredda e lucida. Che come tutte, ha pregi e difetti, ma che di fatto non riesce a fare proseliti.


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