Proprietà, dirigenza, allenatori e calciatori: tutti sul banco degli imputati
Siamo al tre marzo ed il Milan è nono in classifica in Serie A, fuori dalla Champions League, in semifinale di Coppa Italia e con una Supercoppa Italiana in più in bacheca. Il tutto con il terzo monte ingaggi del campionato ed i ricavi organici più alti, quindi escluse le plusvalenze, in Italia. Il tifo, organizzato e non, è in piena contestazione: cori, striscioni e proteste sono ormai il pane quotidiano in ogni partita giocata a San Siro.
C'è grande sfiducia e sconforto, sentimenti accentuati sempre più di partita in partita. Come si torna a vedere la luce in fondo al tunnel? Bella domanda. Siamo sicuri che in dirigenza pagherebbero di tasca loro per avere la soluzione pronta. Inevitabilmente sarà un processo che richiederà tempo, così come non si è piombati nello scoramento da un giorno all'altro: la situazione attuale è figlia di errori molteplici, tecnici e di concetto, perpetrati nel tempo. Proprietà, dirigenza, allenatori e giocatori, non esistono santi: è tutto il Milan ad essere causa di questo suo male.
LE COLPE DELLA PROPRIETÀ
Gerry Cardinale prende un Milan scudettato e che sta volando sulle ali dell'entusiasmo sportivo. Il club iniziava ad avere anche importanti risultati economici: a giugno 2022 le aspettative erano altissime ed il futuro, prossimo e a lungo termine, per tutti era roseo. RedBird, che ha trovato una macchina che iniziava a camminare da sola, ha sbagliato diverse scelte e approcci. La prima è l'allontanamento di Paolo Maldini. Ma non il Paolo Maldini Direttore Tecnico, fallibile e criticabile come qualsiasi professionista, ma il Paolo Maldini simbolo del Milan. La squadra ha avuto battute a vuoto, alcune molto pesanti, anche con il numero 3 in dirigenza. Cosa faceva la differenza? Con lo storico ex capitano tutto il popolo rossonero aveva una figura autorevole a cui aggrapparsi, un punto fermo che rappresentava il sentimento comune di tutti i tifosi, la certezza che qualsiasi cosa venisse fatta era, almeno nelle intenzioni, per il bene del Milan.
La dinastia Maldini è legata in modo unico al Club e la presenza di Paolo rendeva l'ambiente, a tutti livelli (tranne quello dirigenziale, evidentemente), unito e compatto. Liberarsene a cuor leggero (senza contare il penoso teatrino dell'anno precedente per il rinnovo del contratto arrivato al fotofinish...) è stato un errore grave da parte di chi non ha avuto la capacità di capire il sottotesto culturale, sicuramente complesso, del calcio in Italia. Ciò non vuol dire che Maldini sia stato esente da errori, evidentemente se è arrivato allo scontro anche con il precedente AD qualche appunto si può fare anche a lui, ma è innegabile che fosse il collante in un ambiente che tornava a sognare dopo 15 anni di nulla cosmico.
E se il lato sportivo può essere quello "debole" di un fondo di investimento, per quanto riguarda quello che dovrebbero essere i punti forte, ovvero entertainment, engagement e costruzione del nuovo stadio, non va sicuramente meglio. Il teatrino tra San Siro e San Donato, con dichiarazioni che ogni volta scontentano una parte (o entrambe), non sembra vedere la luce in fondo al tunnel. Il tifoso rossonero italiano, il "core" del tifo, non si sente più rappresentato ma usato, trattato semplicemente come cliente: è giusto guardare al calcio come se fosse un'azienda per molti aspetti, e infatti gli ottimi risultati di bilancio sono innegabili, ma è ancora più importante capire cultura e contesto del luogo in cui si va ad investire. Per farla breve, gli hot dog e il lancio delle magliette all'intervallo, così come le kiss cam et similia, a San Siro non funzionano. Anzi, infastidiscono.
LE COLPE DELLA DIRIGENZA
Il modello all'inglese, con un gruppo di lavoro integrato che prende decisioni di comune accordo, non funziona in Italia. Questo tipo di modello calcistico sta scomparendo anche nella sua patria, con le squadre di Premier League di vertice che negli ultimi anni sono corse a cercare Direttori Sportivi che gestissero e decidessero in autonomia: in ultima battuta l'Arsenal, che ha vinto la corsa proprio sul Milan per Andrea Berta, in uscita dall'Atletico Madrid.
Giorgio Furlani, brillante uomo dei conti, aveva zero esperienza come CEO. Sostituire un profilo come quello di Ivan Gazidis, esperienza calcistica sconfinata tra MLS e Premier League, è difficilissimo. Figuriamoci farlo da esordienti. Geoffrey Moncada, abituato a lavorare nell'ombra e sul campo, da Capo Scout ha segnalato una serie importante di talenti: Leao, Theo, Maignan, Bennacer, Reijnders, Fofana, Kalulu, Thiaw, Kerkez e via discorrendo. Fare il Direttore Tecnico, con tutte le responsabilità e gli ulteriori compiti che comporta, evidentemente è stato un passo troppo lungo. Non che non sia o non sarà capace di farlo, ma anche qui è stato messo un esordiente in un ruolo chiave.
Zlatan Ibrahimovic: non è neanche presente nell'organigramma dirigenziale del Club in quanto emanazione diretta della proprietà sul proprio investimento. Un Senior Advisor, con poteri importanti, che fino a 18 mesi fa era ancora calciatore. Anche qui, un altro esordiente in un ruolo chiave. Jovan Kirovski: ci limitiamo a porre un quesito. Come si può pensare di affidare ad un dirigente che arriva dalla MLS il progetto di una squadra militante nella Serie C italiana, categoria con dinamiche uniche e particolari? Difficile trovare una risposta, ma intanto i (non) risultati parlano.
E poi, chi è che decide? I protagonisti in questione in realtà hanno risposto più volte, rifacendosi al famoso "lavoro di gruppo". Ma se non si è concordi su qualcosa cosa succede? Chi fa un passo indietro? Chi ha l'ultima parola? La catena di comando al Milan è chiara? E soprattutto, chi è chiamato a prendere le decisioni ha le competenze e l'esperienza necessaria per farlo? Evidentemente, andando a vedere il declino delle ultime stagioni, per quanto riguarda la parte sportiva, no. Altrimenti non si sarebbe arrivati ad attendere l'ormai prossima nomina di un nuovo Direttore Sportivo.
Furlani ieri a DAZN si è cosparso il capo di cenere: "Quando le prestazioni son così al di sotto, non c'è un colpevole: la verità è che siamo un po' tutti colpevoli, sicuramente mi includo anche io e mi metto nel calderone poiché sono amministratore delegato e le decisioni passano da me... La delusione che hanno i tifosi ce l'abbiamo anche noi, in società e squadra, ce l'ho anche io".
Non può essere altrimenti, anche perché questa stagione è nata sotto una stella sbagliata: con De Zerbi, Conte, Flick e Sarri liberi finire su Lopetegui prima e Fonseca poi è difficile da commentare.
GLI ERRORI SUL MERCATO
Fare calciomercato è quanto di più variabile ci possa essere al mondo. Un calciatore, nonostante possa sembrare il profilo adatto ed ideale, per una serie X di motivi può non rendere come ci si aspettava. O magari rende ancora di più rispetto al previsto. Non è una scienza esatta ed è quindi difficile, se non impossibile, non fare errori. Ma ci sono alcune situazioni così palesi, e soprattutto sotto gli occhi di tutti, che è sconfortante che ci sia stato bisogno di sbatterci la testa per accorgersene. Negli ultimi anni ce ne sono state diverse: perdere Kessie e Calhanoglu a zero e non sostituirli, non rinforzare il centrocampo con giocatori con caratteristiche difensive, non andare ad intervenire sul ruolo del terzino destro (con la speranza che Walker dia garanzie a lungo) negli anni, rimandare l'individuazione e l'investimento sulla punta del presente e del futuro, l'acquisto di giocatori assolutamente sotto la media come Origi, Ballo-Touré, Emerson Royal, Loftus-Cheek, Jovic.
LE COLPE DEGLI ALLENATORI
Anche chi siede, ed è stato seduto, sulla panchina rossonera non è esente da critiche. Pioli, col senno di poi, ha compiuto un qualcosa molto simile ad un miracolo. Ma pesano troppo gli infortuni ripetuti e continui, figli di un lavoro fisico evidentemente non adeguato alle esigenze della rosa. Pesano i derby persi: la quantità di sconfitte e soprattutto le modalità. La stracittadina era diventata una partita persa in partenza. Pesa un'idea di gioco andata sempre più estremizzandosi, arrivando a distaccarsi completamente dalla freschezza e l'efficacia mostrata nella prima parte del ciclo. Fonseca, dal canto suo, ha provato ad impostare uno stile basato sul possesso e sul controllo di gioco con una rosa evidentemente costruita per fare altro. Il portoghese è poi arrivato allo scontro con personalità importanti dello spogliatoio: i casi Theo e Leao i più lampanti. Conceiçao ha continuato su questo stile: in un ambiente altamente infiammabile ha continuato a buttare benzina sul fuoco. Ora la squadra è estremamente nervosa e rigida.
LE COLPE DEI CALCIATORI
Ultimi nell'elenco, ma sicuramente non per demeriti: i calciatori. Da ragazzini inesperti, affamati e sconosciuti a 27/28enni svogliati, senza orgoglio e con tanta supponenza. La crescita è stata tanto repentina quanto effimera, per poi perdersi tra qualche giorno libero di troppo, una professionalità contestabile ed un atteggiamento inaccettabile anche se dovesse arrivare da chi in carriera ha vinto tutto, figuriamoci per chi ha sollevato solo uno scudetto.
Una squadra che viene tradita in primis da chi dovrebbe prendersi le responsabilità, tecniche, di leadership e mentali, più grandi. Un gruppo di uomini, non più ragazzi, che ha il bisogno di sentirsi spronato e motivato in ogni momento della settimana e del giorno per poter pensare di essere un minimo continui nelle prestazioni. L'ammutinamento di Lazio-Milan, a prescindere dai protagonisti in negativo, è il simbolo di come si sia arrivati ad una situazione folle. C'è bisogno di un esame di coscienza importante da parte di tutti perché questa maglia e questi tifosi meritano rispetto.
È tutto da buttare? Neanche per idea. Il Milan è un club autosufficiente economicamente, con un settore giovanile, seppure con il fallimento del Milan Futuro in questa stagione, in crescita, con una base tecnica importante e con ancora grande potenziale inespresso. C'è bisogno di tracciare una linea, da parte di TUTTI, e ricominciare a remare dalla stessa parte. Quella del Milan.