MN VI LEGGE IO, IBRA - Quando il Re pativa la fame...
“Puoi togliere il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo”. E’ la frase che si può leggere sul risvolto di Io, Ibra, biografia di Zlatan Ibrahimovic scritta a quattro mani con David Lagercrantz e finita nell’occhio del ciclone ancor prima che sugli scaffali delle librerie italiane. E’ andata così soprattutto per le rivelazioni scottanti sul rapporto turbolento avuto con Guardiola ai tempi del Barcellona, e per il clima da “collegio” che, a detta di Ibra, si respira nel club catalano. “Se Guardiola un giorno arriva al campo di allenamento e chiede ai giocatori di mettersi a saltare, quelli obbediscono senza batter ciglio. In Italia, se chiedi una cosa del genere i giocatori ti ridono in faccia”.
Io, Ibra è il libro a cui Zlatan ha affidato tutta la sua vita, è una storia che trasuda disagio sociale, povertà, fame, pregiudizi, ma anche orgoglio, riscatto, successo. E’ la storia di un lieto fine tutt’altro che annunciato, per un ragazzino che ruba biciclette tutti i giorni, gioca a calcio in strada per tutta la giornata e quando torna a casa trova spesso il frigo vuoto: “Quando rientravo ero stanchissimo ed affamato come un lupo, pregavo Dio che ci fosse qualcosa da mettere sotto ai denti, e non soltanto lattine di birra (quelle che il padre consumava in abbondanza, ndr), ma il più delle volte non c’era niente ed ero costretto a saziarmi con qualche fetta di pane”. Proprio così, il n.11 più forte del campionato italiano, l’uomo degli Scudetti, quello che trasuda potenza, padronanza, e che quando scende in campo si sente un Re, ha patito la fame ed ha vissuto un’infanzia che definire difficile è un eufemismo. “Un giorno, quando ero piccolo, caddi dal tetto della scuola e mi feci un gran male. Tornai a casa piangendo, mi aspettavo che mia madre mi consolasse e si prendesse cura di me, invece mi diede anche il resto, rimproverandomi e chiedendomi cosa ci facevo sul tetto della scuola!”
Eppure, malgrado quelle botte e quel frigo spesso vuoto, Zlatan ha per la mamma e il papà “tutto l’amore possibile”, perché sa che Re Ibra, quello di oggi, che basta a sé stesso e non teme il confronto con nessuno, che ha imparato presto a difendersi da solo e a non aver bisogno di nessuno, è il figlio di quelle botte, di quel frigo vuoto e di quei pomeriggi al campetto a chiedersi perché tutti gli altri ragazzi avevano i genitori a bordo campo e lui no. L’Ibra di oggi è il l’Ibra di ieri, quello che non vive più nel ghetto, ma che il ghetto non ha mai smesso di averlo dentro.