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MN VI LEGGE IO, IBRA - Da Zlatan Ibrahimovic a Ibra: considerazioni sparse e la vita prima di Raiola

di Francesco Somma

L’auspicio è quello di avervi fatto divertire, magari senza sorridere, ma appassionandovi alla scoperta dei punti meno visibili e scontati della vita e della carriera di Zlatan Ibrahimovic. “Io, Ibra” l’abbiamo letto insieme: abbiamo condiviso con voi, passo dopo passo, i capitoli più interessanti della biografia del giocatore più rappresentativo del Milan di Allegri. Ci ha spinti una duplice ragione: la prima è quella prettamente giornalistica, alimentata dalla voglia di fornirvi notizie, e dirvi cose che nessun altro vi dice. Del resto, le cose che non si vedono sono anche quelle più interessanti. La seconda è supportata dal prezzo dell’opera, non propriamente quello di un tascabile. “Io, Ibra” è quello che qualcuno definirebbe un “mattone”: grande e ingombrante, 381 pagine, spettacolare nella grafica: copertina dorata con il fronte ornato da una foto del mezzo busto di Ibrahimovic vestito in stile casual; mentre sul retro, sempre dorato, capeggia la schiena tatuata del campione. Tra le altre cose, Ibra ama i tatuaggi, ne ha parecchi ma ad alcuni è particolarmente legato. Sul braccio ha i nomi e le date di nascita dei suoi figli e familiari, sulla schiena ha un drago, simbolo di potenza, e una carpa, il pesce che va controcorrente; tra questi un simbolo che raffigura i quattro elementi naturali, poi scritte e raffigurazioni di più piccole dimensioni.
Sono tanti gli aneddoti e i racconti che ci hanno appassionati durante la lettura dell’autobiografia. Sapevamo di leggere la vita di un uomo che ha vissuto un’infanzia difficile in un quartiere multietnico e controverso, ma quanti di noi riuscirebbero ad immaginare il fuoriclasse di oggi alle prese con un frigo vuoto e con la fame incalzante? “Io, Ibra” è anche questo: la storia di un bambino che torna a casa la sera e non trova nulla da mangiare, se non lattine e lattine di birra, che suo padre ingurgita con avidità.
Abbiamo avuto la conferma dell’importanza imprescindibile della psicologia nel perseguimento del successo, nel calcio come in altri ambiti. Se Ibra è diventato Ibra, è anche grazie al modo in cui il ragazzo di Rosengard ha scelto di coltivare il suo talento. Ha imparato ben presto a sentirsi diverso dagli altri, ma è riuscito a fare della diversità un punto di forza e non di debolezza, ha imparato quali siano le persone da ascoltare e quelle da ignorare, ad aborrire l’ipocrisia e mostrarsi irriverente nei confronti di chi non lo apprezza. Soprattutto, ha imparato a riconoscere “il guizzo negli occhi”, quel carisma che, ad esempio, solo pochi allenatori hanno: Ibra confessa di dover tanto a Capello, “uno che il rispetto non lo conquista, ma se lo prende”, e José Mourinho, “un uomo per cui potrei morire”. Di tutt’altro genere sono i complimenti riservati invece a Pep Guardiola…
Ed anche a Mino Raiola, probabilmente la persona più influente nella carriera del centravanti: alla luce di quanto abbiamo letto, senza Raiola non esisterebbe Ibra. Esisterebbe Zlatan Ibrahimovic, quello sì, ma probabilmente non ci sarebbe il fuoriclasse inimitabile protagonista a cavallo tra gli anni ’90 e Duemila. Se da Malmoe lo svedese è arrivato prima ad Amsterdam, poi a Torino e Milano, passando per Barcellona, il merito è soprattutto del procuratore campano, definito più volte come un genio della trattativa. Abbiamo analizzato ogni singolo affare tra quelli che hanno portato Zlatan a siglare contratti milionari; gli aneddoti e le trovate folli ma efficacissime partorite dalla mente di Raiola. Vi siamo però debitori di una risposta, perché molti di voi si saranno chiesti chi fosse l’agente di Ibrahimovic prima dell’incontro con Raiola. Un avvocato svedese, un bravo ragazzo, preparato e intelligente, ma nulla in confronto al suo successore. Basti pensare che il massimo che riuscì a fare nel periodo olandese per il suo assistito fu l’interessamento da parte del Southampton. Dopo pochi mesi Ibra era un giocatore della Juventus.


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