Lontano ma non troppo, il momento delle decisioni si avvicina: ignorare l'elefante nella stanza sarebbe controproducente
La premessa è assolutamente doverosa, nonché dovuta: Zlatan Ibrahimovic è un campione infinito, una leggenda del calcio, un totem, un fenomeno, un punto di riferimento per tutto l'ambiente Milan. Poi, dire che questa rinascita rossonera sia dovuta solo allo svedese sarebbe ingeneroso per tutti gli altri protagonisti, ma possiamo affermare con certezza che Zlatan è stato la scintilla che ha riacceso il fuoco. A 38 anni ha fatto capire a tanti cosa voglia dire essere a Milanello: sembra una frase fatta, una di quelle buttate lì per accaparrarsi facili consensi sui social, ma è la verità. Da tempo chi calcava giornalmente i campi del centro sportivo di Carnago dimostrava di non sapere cosa volesse dire indossare quei colori e rappresentare una società gloriosa e prestigiosa. Ibra, che un decennio fa viveva l'ultimo Milan vincente insieme a gente come Nesta, Gattuso, Ambrosini, Inzaghi, Thiago Silva ed altri, invece lo sa benissimo. Tornato a Milanello nel dicembre del 2019, l'ha spiegato chiaro e tondo a tutti i suoi compagni, dimostrando una maturità e un carisma quasi inaspettati per uno che nel corso degli anni è sempre stato considerato un "bad boy". Ma come gli piace dire spesso, Zlatan con l'età è maturato e migliorato, come il buon vino. Niente più egoismo, niente più sfuriate, niente più protagonismo dannoso: la sua forza, la sua infinita esperienza e la sua smisurata voglia di vincere ora sono solo al servizio della squadra. La storia recente è sotto gli occhi di tutti: il Milan, grazie anche all'ottimo lavoro di Gazidis, Maldini, Massara e mister Pioli è ritornato a competere ad alti livelli. Un secondo posto in campionato l'anno scorso e una qualificazione in Champions conquistata dopo sette anni. E quest'anno i rossoneri occupano ancora le zone nobili della classifica: ad oggi 9 dicembre il Diavolo è primo in classifica, a +1 dalla seconda. Non male per una squadra che fino a poco tempo fa era solita languire in posizioni molto meno interessanti.
GUARDARE AVANTI - C'è un però: il girone B di Champions League che si è concluso l'altro ieri, in cui il Milan ha affrontato Liverpool, Atletico Madrid e Porto, ha dimostrato come il lavoro da fare sia ancora tanto. Non poteva essere altrimenti, vista la pochezza degli ultimi anni e la totale inesperienza a certi palcoscenici di gran parte della rosa. Non è ovviamente una critica al progetto, che rimane entusiasmante e convincente: una crescita costante, sportiva ed economica, di tutte le parti in causa. Dall'AD Gazidis ai tanti giovani in squadra, da mister Pioli alla dirigenza. Si cresce insieme, si vince insieme e si perde insieme: il gruppo di lavoro è assolutamente coeso e compatto, la strada è quella giusta. Queste partite europee hanno però portato con sé diversi quesiti, tra cui uno molto importante: il quarantene Zlatan Ibrahimovic, che in Serie A domina in lungo e in largo, può fare ancora la differenza anche contro il Liverpool di turno? La domanda ovviamente non è una conseguenza della prestazione scialba arrivata martedì contro gli uomini di Klopp, sarebbe sbagliato e ingeneroso, ma è un dubbio legittimo che ci si pone dopo aver riassaporato il livello più alto del calcio europeo. Il gioco del Milan promosso da Pioli è moderno, dinamico, divertente ed efficace: negli ultimi due anni i tifosi hanno potuto ammirare una squadra verticale, intensa, che vive di transizioni fulminee ed ama aggredire l'avversario già sulla loro trequarti. In Italia tutto questo è super efficace perché va in netta controtendenza al tatticismo esasperato della Serie A: l'attenzione che Pioli mette nelle situazioni di 1 contro 1 fa la differenza. In Europa però si è visto che non è ancora abbastanza: non tutte le squadre ovviamente hanno l'incredibile tasso tecnico che può avere il Liverpool, ma la strada è sempre più quella di andare verso profili fisicamente straripanti e incontenibili, più sul piano dello strappo e dell'agilità piuttosto che della forza. In questa transizione calcistica orientata verso la dinamicità e l'intensità come si colloca Ibra? Il Milan può pensare di provare ad essere competitivo anche in Europa con una punta quarantenne le cui caratteristiche vanno in antitesi con quello che è il nuovo sentimento del calcio ad alti livelli?
DECISIONI - "Ho paura di ritirarmi. Ogni volta che si avvicina, prolungo". Parole di Ibra, che questa mattina si è raccontato un po' a Radio DeeJay (qui l'intervento completo). Sentimenti normali e assolutamente condivisibili, soprattutto perché Zlatan riesce ancora ad essere decisivo in Serie A. Ma in un Milan in continua crescita, che ha bisogno di risalire la china in campo internazionale, che ruolo potrà avere ancora il quarantenne Ibrahimovic? Che non si scambi questa domanda per ingratitudine o voglia di disfarsi dello svedese, sia chiaro! Ma chi scrive si augura che nella mente di Maldini e Massara ci sia da tempo questo chiodo fisso: come muoversi per il dopo Zlatan? È un interrogativo ostico, quasi doloroso; il congedo dal numero 11 sarà difficile e sicuramente emozionante, ma è giusto iniziare a pensarci. Che sia alla fine di questa stagione o magari al termine della prossima il momento delle scelte arriverà, e oggi sarebbe controproducente ignorare l'elefante nella stanza. Senza giri di parole, l'attacco rossonero ha bisogno di un investimento importantissimo (a livello sportivo, ma con il livello economico che, purtroppo, di solito va di pari passo col primo). Difficilissimo se non impossibile che arrivi a gennaio, più probabile che ci si proverà in estate. Questo non vorrebbe dire accantonare Ibra, ma il Milan in futuro avrà bisogno di un centravanti giovane, forte, potente fisicamente che possa permettere alla squadra di continuare la sua crescita anche in Europa, seguendo il nuovo trend dominante del calcio internazionale. Siamo ancora a dicembre e c'è tutta una stagione davanti, ma il tempo scorre e il momento delle decisioni importanti si avvicina: il Milan non potrà sbagliarle.