.

La marcatura su Inzaghi, il Boca, l'anno al Liverpool, l'intervento su Rigoni... Gabriel Paletta si racconta a Milan TV

di Manuel Del Vecchio

Nuovo episodio di Unlocker Room - The Rossoneri Podcast, format curato e prodotto da Milan TV con ospiti diversi protagonisti del mondo rossonero, presente e passato. In questa puntata l’ospite è Gabriel Paletta, roccioso difensore centrale che ha vestito la maglia rossonera dal 2015 al 2018, con una parentesi in prestito all’Atalanta nel 2016.

Il “famoso” intervento su Rigoni in un Genoa-Milan…

“L’ho visto un sacco di volte, più che altro dai bambini, che non hanno visto la partita. Ogni tanto me lo fanno rivedere. Ma non era un intervento cattivo (sorride, ndr). Se vedete ho lisciato la palla e quindi l’ho beccato. Ma quell’anno è stato un po’ così per i rossi…”.

Cosa fai ora? Stai bene?

“Sono tranquillo, per ora mi sto godendo la famiglia. Ho tanto tempo per loro che prima non avevo. Gioco a padel, sono bravino. Sono in coppia con Lucas Biglia, giochiamo con Rodrigo Palacio ed un prof che conosciamo”.

In futuro vuoi diventare allenatore?

“Sì. So che è difficile, perché poi i calciatori rompono (ride, ndr)… Riuscire ad avere 25 persone tutte contente non è facilissimo. Questa cosa non è che mi dà tanto entusiasmo (sorride, ndr)”.

E tu nello spogliatoio avevi un bel carattere…

“Beh sì, ero, sono uno che si incazza parecchio (ride, ndr). Ma sono stato, penso, un buon compagno con tutti”.

Ci racconti la tua infanzia? Nasci in Argentina, hai origini italiane…

“Vengo da una famiglia umile. Siamo quattro fratelli, tutti maschi, io ero il più piccolo. Eravamo sempre a giocare dietro un pallone, mia mamma casalinga, mio papà guidava un camion ed era sempre impegnato; era mia mamma a stare sempre con noi. Mi ricordo che ero sempre a giocare a pallone con i miei fratelli ed i loro amici. È stata una bella infanzia. Poi a 7 anni ho cominciato a giocare nel Banfield. Giocavamo a calcetto in una squadra vicino a casa mia: siamo andati a fare un provino al Banfield come squadra e siamo rimasti tutti quanti”.

Da bambino tifavi Boca?

“Sì, in famiglia si tifava sempre Boca, tutti del Boca tranne il mio secondo fratello che è del River. Ma poi una volta che inizi a giocare perdi questa cosa. Fino ai 19 anni ho giocato nel settore giovanile del Banfield, è stato un periodo bellissimo per me”.

Avevi il sogno dell’Europa?

“Sì. In Argentina, è difficile da dire, fai 1-2 anni bene e poi vuoi andare. Anche perché non guadagni tanto e vedi in TV certi stadi, certi giocatori… E allora vuoi andare. Per tutti è così: inizi, giochi qualche anno nella tua squadra, magari fai qualche partita di Coppa Libertadores, e poi dopo dici che vorresti andare oltreoceano”.

Al Banfield giocavi con qualcuno che poi anche lui è arrivato?

“Emiliano Armentero, che ha giocato in Spagna e Messico. Ha giocato anche in nazionale U20 con me”.

Com’era la vita in Argentina?

“In quel periodo era abbastanza tranquilla. Non succedeva niente, a livello di sicurezza era tranquillo. Negli ultimi anni è peggiorata tanto, però mi ricordo di un’infanzia bellissima: eravamo sempre fuori con gli amici. A scuola andavo abbastanza bene”.

Siete una famiglia che ha lavorato nel mondo del calcio.

“Mio fratello più grande fa l’arbitro, il secondo è magazziniere per la squadra femminile del Racing. Il terzo è preparatore, è al Racing anche lui da 15 anni: ha fatto il settore giovanile, la primavera, di tutto. Ora è col futsal, l’anno scorso ha vinto il campionato femminile. Ha fatto di tutto al Racing e continua a lavorarci”.

Parliamo di quel Mondiale U20 con Messi, Aguero… Com’era?

“È stata una bellissima esperienza. Io giocavo da un anno in Serie A, è stato molto bello. Loro due erano sotto età, erano i più piccoli. Aguero infatti ha fatto poi un altro mondiale U20 e ha vinto anche quello. È stato bello, tutte le regole che seguivi in nazionale, a livello di allenamento e partite, era una cosa bellissima. Era diverso da quello che facevo nel club”.

Messi com’era?

“Lui era un pochino timido. Era più piccolo di tutti gli altri. Parlava poco, giocava tanto alla PlayStation, era sempre in coppia con Aguero. Ma era fortissimo, si vedeva. L’allenatore non l’aveva messo titolare nella prima partita”.

Tutti sapevano che era un fenomeno oppure iniziavate a scoprirlo?

“No no, tutti lo sapevano. L’Argentina, prima del mondiale U20, lo chiama per farlo diventare argentino; c’era anche la Spagna che voleva convocarlo in nazionale. Lui però voleva giocare per l’Argentina. Prima di questo Mondiale il presidente della federazione aveva fatto di proposito un’amichevole per far sì che venisse convocato. E quindi lui nella prima parte dalla panchina, se non sbaglio perdiamo contro gli Stati Uniti. Ma già dalla seconda ha iniziato a fare il titolare e da lì le hai giocate tutti”.

L’hai più sentito?

“L’ho incrociato un po’ di volte: in qualche partita di beneficenza, a Liverpool col Barcellona. L’anno scorso sono andato a vederlo a Parigi perché mio figlio voleva vederlo, ma c’era il caos con i tifosi e non siamo riusciti ad incrociarci. Adesso è da un po’ che non lo vedo”.

Una delle parentesi più nostalgiche è Paletta al Liverpool. Non tutti se lo ricordano, raccontacelo.

“Dopo il Mondiale c’era questa possibilità, c’era il Liverpool che mi stava guardando. Io ero un po’ titubante, dall’Argentina andare in Inghilterra… Non è che non ero convintissimo ma avevo un po’ di paura. C’era anche il River che mi voleva, in Argentina. Alla fine col procuratore che avevo a quel tempo abbiamo scelto il Liverpool. È stato un cambiamento incredibile per me. Quel Liverpool era una squadra spettacolare, con Rafa Benitez. Quell’anno lì mi è servito tanto per capire le regole dentro un gruppo. C’erano persone grandi che ti dicevano quello che dovevi fare. Mi è servito anche a livello tattico, perché in Argentina non è che si lavora tantissimo. Quell’anno, anche se ho giocato pochissime partite, mi ha fatto crescere”.

C’è un episodio che ricordi particolarmente di quei campioni?

“Quando arrivavi agli allenamenti loro si pulivano le scarpe. Noi in argentina facevamo fare ai magazzinieri, loro ognuno si puliva le sue scarpe. Una delle prime volte io invece le ho lasciate lì, è venuto il magazziniere a dirmi che le scarpe avrei dovuto pulirle io. Poi c’era Pepe Reina e tanti altri spagnoli che mi hanno dato una mano con la lingua. Questa cosa è stato un vantaggio per me. Ho imparato un po’ di regole che poi valgono per tutti i giorni. È stata una bellissima esperienza”.

C’è un ricordo particolare di quell’anno?

“La prima partita che ho giocato, ho segnato sotto la Kop (una delle due curve di Anfield, ndr). Molto bello. Poi un ricordo non bellissimo, ma ricordo la finale di Champions ad Atene contro il Milan… Ero in tribuna, sono rimasto fuori dalla panchina ma ero allo stadio”.

Ricordi qualcosa della preparazione di quella partita?

“Niente di particolare. Sicuramente l’abbiamo preparata come una finale, ma non ricordo che fosse diversa dalle altre partite”.

E invece dopo?

“Triste, sicuramente. Però in tanti l’avevano già vinta. Erano sicuramente delusi, però quelli che l’avevano già vinta non è che li ho visti tristissimi. Però sicuramente è stata una rivincita per il Milan”.

Poi l’anno dopo la finale di Intercontinentale contro il Milan. La ricordi?

“Il dottor Galliani, che ho avuto a Monza, mi diceva che contro il Milan non riuscivo a vincere. Quell’anno è stato un po’ un casino. Riquelme era tornato al Boca, avevano vinto la Coppa Libertadores. Io sono arrivato in estate, dopo. Lui ha avuto un problema col Villarreal che non gli davano il permesso per tornare, e non gli hanno lasciato giocare la finale. Ci ha accompagnato e tutto ma non è riuscito a giocare. Era un giocatore molto importante per noi, era devastante. Mi ricordo che eravamo arrivati 15 giorni prima della partita e abbiamo visto giocare il Milan contro una squadra giapponese. Abbiamo visto la partita e ci siamo detti che il Milan fosse davvero una squadra fortissima. Ma anche noi avevamo una bella squadra, anche se era un calcio diverso. E poi vabbè, la forza del Milan…”.

 Nella finale tu eri a uomo su Inzaghi?

“Non a uomo, marcavamo a zona. Però sì, l’ho perso un po’ di volte… A Milanello c’era un quadro con una foto di Inzaghi che faceva gol e io gli stavo davanti con lui che mi passava dietro (ride, ndr). Mi sa che era il secondo gol. Io ero lì con i capelli lunghi, un’altra epoca (ride, ndr)”.

Com’è giocare con il Boca alla Bombonera?

“Bellissimo. Chi può deve andare a vedere una partita in quello stadio, è diverso da tutti gli altri. I tifosi sono tutti sopra di te. Lo stadio non è grandissimo ma sono tutti in piedi e le partite di Coppa Libertadores sono le più belle di tutte. I tifosi per le partite di coppa diventano pazzi, è bellissimo. Sono stato lì tre anni, mi sono sentito molto molto bene”.

Un’atmosfera simile che hai ritrovato in carriera?

“Difficile da trovare qualcosa del genere. Quando la gente inizia a saltare e cantare la Bombonera trema. Certo, ho giocato ad Anfield che è tanta tanta roba. Anche San Siro”.

Arrivi in Italia, dovevi andare al Palermo ma invece vai al Parma.

“Dovevo andare al Palermo, sono arrivato qui per fare le visite mediche. Mi hanno fatto tutti i test, gli ho detto che nel 2008 mi ero fatto male al ginocchio in Argentina e mi ero operato con un dottore molto bravo, che di solito opera tutti i giocatori che si fanno male al ginocchio, si chiama Batista. Quando arrivo qua mi dicono che ero stato operato male e che dovevo fare un altro intervento. Mi sembrava strano, io stavo giocando normalmente. Non so quindi se c’è stato un problema tra il club e qualche procuratore e sono tornato al Boca”.

Che ricordi hai di Parma?

“Molto bella, città da 10, gente spettacolare e compagni pure. Ho avuto la fortuna di avere in rosa Crespo, mi ha dato una grossa mano perché non parlavo italiano. La prima cosa che ha fatto in ritiro è stata dire al team manager di non metterci insieme in camera perché dovevo imparare l’italiano. Sono stato quindi con un ragazzo portoghese, anche lui appena arrivato. Crespo mi diceva che la sua camera era sempre aperta e potevo andare quando volevo, dovevo portarmi un foglio e una penna così iniziavo ad imparare la lingua. Però non devi chiedere a me, devi chiedere ai ragazzi italiani. Mi ha dato una grossa mano. Quel ritiro lì me lo ricordo perché lui è stato molto gentile con me”.

Invece al Milan come arrivi?

“Il Parma aveva già un po’ di problemi. Avevo come mister Donadoni, a gennaio stavo per andare alla Samp. Era quasi tutto fatto, era gennaio 2015. Donadoni mi dice: “Stai andando alla Samp, non vuoi andare al Milan?”. Sì, certo. In Argentina tempo fa nel fine settimana si vedevano solo 2-3 partite di Serie A, io guardavo sempre il Milan e mi piaceva da sempre. Gli ho detto quindi che se ci fosse stata la possibilità sarei andato volentieri. Lui mi dice che avrebbe fatto qualche telefonata, sentito qualcuno. Dopo un po’, noi giocavamo proprio contro il Milan a San Siro, Milan-Parma. Sono in ritiro, sabato dopo cena viene il mister da me e mi dice “Mi sa che domani non puoi giocare”. Da lì ho sentito il mio procuratore, mi ha detto che lo aveva chiamato Galliani e che mi volevano. Quindi il giorno dopo sono andato in panchina. Sono rimasto a Milano e ho fatto le visite mediche il giorno dopo. Io non avevo niente, avevo solo la tuta del Parma. Ricordo che quella notte sono andato in albergo col mio procuratore, siamo andati a cena con Galliani. Lui scherzava dicendo di non mangiare troppo che il giorno dopo c’erano le visite. Sono rimasto in albergo e la mattina dopo, mi hanno portato un cambio del Milan, ho fatto le visite”.

Qual è il ricordo più bello degli anni al Milan?

“Mi sono trovato molto molto bene al Milan. A Milanello entri e sei coccolato da tutti. Ti senti bene, senti che stai giocando in una società importantissimo. Mi sono trovato da subito bene, andavo volentieri a fare gli allenamenti, ero contentissimo di essere qua. Il ricordo più bello è sicuramente la Supercoppa Italiana che abbiamo vinto contro la Juventus. È un bellissimo ricordo”.

Con chi eri più legato?

“La prima cosa che mi hanno insegnato a casa è di essere una brava persona. Io avevo un buonissimo rapporto con tutti. Conoscevo già da Parma Luca Antonelli, con lui avevo un buonissimo rapporto. Poi c’erano un po’ di argentini, spagnoli… Magari ero un po’ più vicino a loro ma andavo d’accordo con tutti”.

Com’è stato vincere quella Supercoppa contro una Juventus fortissima?

“È stato bello. Non se l’aspettava nessuno, non eravamo favoriti. È stata una partita combattuta. Siamo arrivati ai rigori che sono andati dalla nostra parte. Mi ricordo che quella partita l’abbiamo presa come se fosse una finale vera, abbiamo giocato benissimo. Abbiamo sofferto un pochino ma si sentiva che stavamo facendo qualcosa di bello. Galliani ricorda sempre che è stata l’ultima coppa dell’era Berlusconi, io gli ricordo che è stato il trofeo numero 29, come il mio numero di maglia. Era nel destino (sorride, ndr). Gli dico sempre che ho vinto l’ultimo trofeo della loro era al Milan ed il primo al Monza (la Serie B, ndr). Lui ci crede un pochino a queste cose, me lo dice sempre quando mi vede. È stato molto bello vincere la Supercoppa, anche perché non era un bel periodo”.

Se avessi dovuto calciare il rigore lo avresti tirato?

“Eh sì, se fosse toccato a me… Avrei tirato di collo pieno, una botta in mezzo (ride, ndr). Ai rigori è stato bravissimo Gigio”.

Qualche curiosità sui rigori di quella sera?

“I rigoristi li aveva scelti un po’ il mister, comunque li avevamo preparati in allenamento”.

Donnarumma era un giovanissimo talento all’epoca:

“Si vedeva negli allenamenti. È stato il mister Sinisa a buttarlo dentro, è stato lui a farlo così esordire così giovane. Si vedeva che c’era ancora qualcosa in cui poteva migliorare, infatti con i piedi è migliorato tantissimo da quando ha iniziato. Era giovanissimo, è stato molto coraggioso a farlo esordire”.

Milan-Sassuolo 4-3, che ricordo hai di quella rimonta?

“In quel periodo lì le perdevamo quasi tutte col Sassuolo, sia in casa che in trasferta. Me la ricordo, è stata una bella rimonta. Che ho segnato sono stato contento. Anche questo gol, come l’entrata di Genova, ogni tanto la gente me lo manda e ne sono contento”.

Che ricordo hai di Sinisa Mihajlovic?

“Con lui ho fatto il ritiro e poi sono via in prestito all’Atalanta perché eravamo sei centrali. Lui è stato molto chiaro con me, da subito. Mi aveva detto che aveva scelto già i suoi centrali, io ero l’unico che avevo mercato. Mi dice che ero indietro nelle gerarchie e sarebbe stato contento per me se fossi andato a giocare per poi ritornare. Era un allenatore molto diretto, per come sono fatto mi piaceva tanto. Anche perché andava d’accordo con tutti e non guardava in faccia a nessuno. Chi si allenava bene, giocava”.

L’attaccante più complicato che hai marcato?

“Ibra, Cavani, Lavezzi. Uno che mi faceva sempre impazzire era Totò Di Natale. Si muoveva tanto, era fortissimo. Cavani e Ibra sono più da area di rigore. Mi ricordo un Milan-Parma, io giocavo centrale di sinistra con in coppia un ragazzino che era alle prime partite, Rolf Feltscher. Giocavamo noi due in coppia contro Ibra. Feltscher gli aveva fatto un fallo, allora Ibra chiama l’arbitro e gli fa: “Ref, vuoi che li ammazzi tutti e due?”. L’ho sentito e mi ricordo che mi è rimasta impressa questa frase dopo quel fallo abbastanza brutto”.

Ibra cosa soffriva di più, quando veniva marcato?

“Sì, secondo me sì. Anche se le ultime volte che l’ho incontrato, era un’amichevole tra Milan e Monza, mi ha detto che lui ha bisogno che il difensore lo sfidi. Perché così si caricava di più, era peggio per gli altri”.

Sei stato uno dei primi oriundi della storia della nazionale Italia.

“Sì, c’era anche Daniel Osvaldo, c’era stato anche Camoranesi. La scelta è arrivata a Parma. Avevo il nostro preparatore che era il figlio di Prandelli. Mi chiede se avessi il doppio passaporto e se mi sarebbe piaciuto giocare per l’Italia. Gli ho detto di sì. Poi da lì è venuto suo papà Cesare a vedere qualche partita e qualche allenamento, era venuto a Parma per dirmi che avrebbe iniziato a seguirmi se ero convinto. Visto che l’Argentina non mi avrebbe chiamato… Potevo giocare anche lì? Sì, ma non mi hanno mia chiamato. Dopo l’U20 ci sono state le Olimpiadi, lì mi avevano chiamato ma il Boca non mi ha lasciato andare perché andavano via già un po’ di giocatori. Altrimenti già lì avrei chiuso la porta ad altre nazionali. Quindi Prandelli ha iniziato a seguirmi, la prima partita che ho fatto contro la Spagna a Madrid è stata un’amichevole. Ho fatto bene, meno male. Poi da lì sono stato chiamato un po’ di volte, fino al Mondiale. E ho fatto il titolare alla prima, con Chiellini spostato a sinistra, Barzagli centrale e Abate a destra”.


Altre notizie
PUBBLICITÀ