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Fonseca ha ingabbiato il 3-5-2 di Inzaghi col suo rombo: il portoghese è stato coraggioso e preparato. Ora ci sono le basi per costruire

di Manuel Del Vecchio

"Il calcio è lo sport più bello del mondo, peccato che poi si giochi" è una massima ironica che ha rappresentato l'umore di tanti tifosi rossoneri in questo avvio di stagione, che si sono trovati a guardare e commentare un Milan anemico, poco riconoscibile, senza mordente e con molti problemi in fase difensiva. L'arrivo del matchday, soprattutto in vista di due sfide sulla carta difficilissime come quelle contro Liverpool ed Inter, sicuramente non è stato vissuto nel migliore dei modi.

A rincarare la dose poi ci sono state alcune dichiarazioni dell'allenatore, quasi alienato dalla realtà nel portare avanti le sue idee, le sue sensazioni ed il suo credo calcistico. Tutto il mondo Milan, compresi personaggi ingombranti, ha chiesto al tecnico portoghese di lasciar perdere questo 4-2-3-1 molto offensivo e passare ad un più equilibrato, sulla carta, 4-3-3 per dare maggiore sicurezze e copertura alla linea difensiva, spesso lasciata in balia delle folate avversarie.

Dopo l'1-3 subito dal Liverpool a San Siro, match poi conclusosi tra i forti fischi dello stadio, cosa ha fatto Fonseca per il derby? Innanzitutto non ha stravolto la sua identità, ha cercato di dare serenità (vedi la grigliata del venerdì) e concretezza alla squadra e ha continuato a lavorare. Si è presentato in conferenza come se qualche giorno prima non ci fosse stata una brutta figura europea e ha continuato a raccontare un qualcosa che evidentemente solo lui e il suo staff, tra le mura di Milanello, hanno potuto vedere. Non c'è stata rassegnazione né dialettica né concettuale, nonostante domande incalzanti e quasi un po' piccate. "Arrivo qui con fiducia. Un conto è se sentiamo che i giocatori sono tristi, non a loro agio. Mi sarebbe piaciuto farvi vedere questa settimana di lavoro, poi non posso arrivare qui e non trasmettere fiducia. La verità è che questi tre giorni di lavoro sono stati fantastici. E quindi vado verso la partita con fiducia, non posso fare altrimenti. Ed è per questo che ho fiducia nel futuro, non posso dire altre cose perché questa è la verità". Sembravano essere dichiarazioni di facciata, e invece corrispondevano alla verità

Un altro punto su cui il tecnico ex Lille continua a battere forte è il tema dell'identità: "Io faccio quello in cui credo. Non posso fare quello in cui non credo. Continuo a credere in quello che io penso debba essere una squadra e continuo a lavorare in quello in cui credo". Al suo arrivo al Milan è tornata in auge una sua intervista ai tempi della Roma in cui ribadiva quanto fosse importante avere un'identità forte e ben radicata, che permettesse poi di adattarsi alla partita e alle varie caratteristiche degli avversari cambiando qualcosa qua e la sulla strategia di gioco. Ma, come ha ammesso lo stesso Fonseca, al momento c'è ancora bisogno di lavorare. È convinto che la società gli abbia messo a disposizione tutto il necessario, parole sue, per fare un Milan fortissimo, ma attualmente il Milan non è ancora una squadra fortissima.

E sarebbe anche strano il contrario, visto che c'è la volontà di effettuare un cambiamento non indifferente proprio alla base della proposta di calcio: dalla verticalità esasperata degli ultimi anni si vuole instillare nei giocatori quanto sia fondamentale dominare il gioco attraverso il possesso palla. Quanto, come e se sarà vincente difficile dirlo ora, quel che è certo è che c'è bisogno di tempo. Anche perché Morata, Pavlovic, Abraham, Fofana ed Emerson Royal, nuove pedine arrivate in estate, hanno raggiunto i compagni a Milanello solo ad agosto (alcuni anche ad agosto inoltrato). Andando oltre le dinamiche di mercato, giuste o sbagliate che siano state, dal punto di vista del campo e della quotidianità del lavoro bisogna ammettere che non è facile creare qualcosa di completamente nuovo con questo tipo di situazione. Ciò non giustifica comunque alcuni atteggiamenti e squilibri di squadra che si sono visti in Serie A e in Champions League contro il Liverpool, ma è comunque vero che dopo un mesetto di lavoro, tolta la pausa per le nazionali che ha privato Fonseca di molti giocatori, qualcosa inizia ad intravedersi.

Contro il Liverpool, fino al primo gol loro, e contro l'Inter, si è visto un Milan compatto e corto, che non lascia nulla nella zona centrale del campo. Si è vista una linea di difesa che inizia a muoversi all'unisono, come vorrebbe il mister, e si vede come questo 4-4-2 (o 4-2-3-1) può avere effettivamente senso quando si riesce a creare a centrocampo questo rombo composto dal vertice basso, la punta e sui lati Pulisic a destra e l'altro centrocampista a sinistra: uno dei principi di gioco di Fonseca che si era visto molto bene anche a Lille, e che stra trovando nel numero 11 rossonero un ottimo interprete. Chris quest'anno gioca molto più dentro il campo rispetto alla passata stagione, ma la sua efficacia in termini di gol non sembra risentirne: è già a quota 4 in 6 partite, di cui due big match. Il Milan ha il miglior attacco del campionato con 11 gol e ben 9 marcatori diversi: Morata, Okafor, Pulisic, Pavlovic, Leao, Gabbia, Theo, Abraham e Fofana. E soprattutto, pecca delle ultime stagioni, si fa spesso gol dai calci piazzati.

Lo schieramento, sulla carta rischioso, proposto contro l'Inter è riuscito finalmente a contrastare l'ottimo 3-5-2 di Simone Inzaghi, andato in difficoltà pochissime altre volte. L'efficacia delle scelte del mister si è vista ampiamente nell'azione che ha poi portato alla punizione vincente di Reijnders per il colpp di testa di Gabbia: Fofana dà l’avvio all’azione, i compagni sono molto proattivi e si muovono col tempo giusto: a sinistra Theo e Okafor danno ampiezza, a destra Chukwueze ed Emerson, che attacca la profondità tenendo occupato Dimarco il giusto. Reijnders sale, e si accoppia alla punta. Abraham chiama la verticalizzazione, l’olandese no, ma tanto basta per allungare la difesa, che cerca di non rompere la linea, arretrando di qualche mentro. In tutto questo Loftus-Cheek, partito dalla trequarti, viene incontro facendosi seguire da Asllani (per tutta la partita il “secondo attaccante” del Milan ha giocato alle spalle del loro mediano): si fa trovare benissimo tra le linee sfuggendo alla marcatura dell’albanese, trovando impreparato sia Carlos Augusto (largo su Chukwueze) che Dimarco (preoccupato da Royal), costretto poi al fallo.

Grande disponibilità dei calciatori a seguire le idee del mister, che evidentemente ha preparato in modo certosino queste situazioni. Nel primo tempo infatti era Morata ad abbassarsi per ricevere e scambiare poi con Pulisic, sul centrodestra, o Reijnders, sul centrosinistra. Giocando tanto dietro il loro mediano, creando densità nei mezzispazi a centrocampo e dando comunque ampiezza con Emerson+Theo e Leao dall’altro lato Fonseca ha mostrato soluzioni efficaci per bucare l’ottimo 3-5-2 di Inzaghi. Ci è voluta tanta abnegazione e corsa di tutta la squadra, in particolare dei calciatori offensivi, ma il piano partita ha funzionato.

Ma ovviamente, come ammesso anche dall'allenatore, questa deve essere solo una bella base di partenza su cui poi sviluppare un lavoro ancora più articolato, attento e preciso. Il derby vinto ha ridato carica, fiducia e serenità all'ambiente, il lavoro del mister può continuare con fiducia.


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