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C'era una volta Fort Apache...

di Francesco Somma

La sbornia sulla strada del ritorno dal Via del Mare è di quelle che non passano facilmente e in poco tempo. Di quelle che non si riescono nemmeno a comprendere facilmente, a meno che non le si provi in prima persona. A meno che certe emozioni non le si conosca già, almeno vagamente. E per fortuna – ma anche no – partite di questo tipo in un’intera stagione non ce ne sono tante. Sono partite che ti catapultano dalla delusione all’estasi in una manciata di minuti, ti buttano davanti una gioia che pochi istanti prima non avevi neppure preso in considerazione, tanto che non sai se ridere, piangere, gioire, disperarti o rimanere incredulo. Ma tant’è: il Milan “rinato” è arrivato a un passo dalla ricaduta e poi s’è desto, tornando sugli standard della grande squadra che conosciamo. A mentre fredda, basta fermarsi un attimo per imbattersi in innumerevoli spunti di riflessione. Dal peso di Boateng alla fatica fatta nel primo tempo, dal centrocampo ma in generale da tutta la squadra. Nocerino e Aquilani che si confermano all’altezza del progetto ed Abbiati sempre più croce e delizia. Le idee di Allegri, spesso incondivisibili e una difesa colabrodo.
C’è Nesta, c’è Thiago, ma ci sono anche Mexes, Bonera e Yepes. Sull’esterno sinistro Antonini e Taiwo stanno carburando e sono pronti ad una staffetta che li vedrà protagonisti da qui alla fine del campionato. Il problema sono i gol. Dando un’occhiata alle statistiche (laddove ce ne fosse bisogno), scopriamo che oltre a vantare il migliore attacco della Serie A, con 11 reti al passivo (2 in meno dell’Inter, magra consolazione), il Milan è tra le peggiori difese del campionato. Meglio del Novara, del Parma, del Lecce e dei sopraccitati cugini, appunto. Un dato che diventa tanto più allarmante volgendo lo sguardo al passato, ai 23 sigilli incassati nell’anno dello Scudetto: siamo a metà dopo sole 7 giornate, c’è evidentemente qualcosa che non va. Un’inversione di tendenza che si potrebbe spiegare laddove fossero cambiate anche le caratteristiche del gioco offensivo, che invece è rimasto pressoché immutato, negli interpreti come nelle dinamiche. Tenendo in conto i due svarioni di Abbiati contro Juve e Udinese, e i meriti degli avversari, una squadra si difende bene quando c’è coesione tra la difesa e il centrocampo, quando tra i reparti ci sono le giuste distanze e la giusta intesa. E giacché non si può e non si deve sperare sempre di prendere tre gol e segnarne quattro, si tratta di un elemento da ritrovare al più presto.


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