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Van Bommel su Leao: "È straordinario, ma deve trovare continuità. Mi ricorda i primi Ribery e Robben al Bayern"

di Lorenzo De Angelis

Intervistato questa mattina dai taccuini de La Gazzetta dello Sport, l'ex nazionale olandese Mark van Bommel ha parlato di Milan presentando la sfida in programma questa a San Siro contro il Feyenoord, lui che nel corso del suo anno e mezzo in rossonero ha vissuto tante notti magiche in Champions League. 

Mark, si aspettava il Milan visto a Rotterdam?
"Condivido in pieno quello che hanno detto Conceiçao e i giocatori a fine partita. È stato un Milan poco intenso, a cui è mancata aggressività. Dispiace perché parliamo di un gruppo molto competitivo, di altissima qualità, che però fatica a esprimersi da squadra. Presi singolarmente i giocatori sono molto, molto forti. Ma se manca la determinazione è come giocare da “6”. Non dico che devi essere sempre da 10, ma almeno da 8. Se non ti esprimi al massimo rendi la vita facile all’avversario e così è successo in Olanda". 

A San Siro sarà diverso?
"L ’atmosfera del Meazza è incredibile, può fare la differenza. La ricordo perfettamente, la Curva canta per tutta la partita. Giocare la seconda gara in casa è sempre un vantaggio, in questo caso a maggior ragione. Il Milan deve sfruttare la chance: andare avanti in Champions è una necessità". 

Si aspetta la squadra super offensiva della partita d’andata?
"In questo caso è fondamentale l’aiuto di ognuno. Anche gli attaccanti devono pressare gli avversari per non mettere in difficoltà i compagni". 

A proposito, Leao: lei ha giocato con tantissimi campioni, Rafa è a quel livello? O cosa deve aggiungere al proprio repertorio per unirsi al gruppo?
"È un giocatore straordinario. Ha velocità, fisico, credo che nemmeno lui abbia davvero la consapevolezza di quanto sia forte. Deve innanzitutto trovare continuità: la consideri una sfida con se stesso. E poi, come dice l’allenatore, essere di supporto alla fase difensiva. Sapete chi mi ricorda? Robben e Ribery, con cui ho giocato nel Bayern Monaco. All’inizio non erano troppo coinvolti in difesa: quando invece hanno iniziato a dare una mano, quella squadra è diventata imbattibile. Univa la cattiveria agonistica alla loro qualità".

Reijnders, in un altro ruolo, lo fa: si aspettava potesse diventare un riferimento della squadra?
"È un giocatore molto intelligente. Difende, attacca, si inserisce, segna. È un “team player”, un uomo a tutto campo. Sapevo che sarebbe arrivato al top anche se non era assolutamente facile. Passare dall’Az al Milan è un gran bel salto e lui si è calato subito nella nuova realtà. Anche se credo che proprio la Serie A si adatti perfettamente alle sue caratteristiche".

A proposito di personalità, credeva che il suo ex compagno Ibrahimovic potesse dedicarsi alla carriera dirigenziale?
"Insieme abbiamo vinto lo scudetto, ha un carattere fortissimo che lo spinge a cercare sempre il successo e questo combacia con il Dna Milan. Il ruolo di oggi è diverso, ma ho visto che nelle ultime due sessioni di mercato, tra l’estate scorsa e gennaio, ha cercato di costruire una squadra che rispecchiasse la sua idea di calcio. Spero e credo ci sia riuscito: il Milan, per la storia che ha, non può restare fuori dalle prime quattro del campionato italiano e dalla Champions, anche se oggi in Serie A sono in sei o sette a competere per i primi posti".

Un lavoro a cui deve dedicarsi in primo luogo Conceiçao: è l’allenatore giusto?
"Oggi faccio il suo stesso mestiere per cui è ingiusto parlare del lavoro di un collega. Ma ha iniziato benissimo con la vittoria in Supercoppa, ha cambiato e riadattato la squadra: in più non è mai semplice entrare a stagione in corso. È vero, a volte la squadra non ha in tutto e per tutto il suo carattere, ma non è una trasmissione così immediata: servono tempo e allenamenti. È un fanatico del lavoro, quanto fatto al Porto lo dimostra".

E a lei piacerebbe allenare in Italia?
"Per tutti gli allenatori la A è una grande sfida: il livello è molto alto. Anche a me ovviamente piacerebbe mettermi alla prova: cerco un calcio dominante. Milano poi la considero casa: sono arrivato a 34 anni, tardi, ma con i tifosi si è subito creata una grande connessione. So che in estate si è parlato di me come allenatore rossonero ma confesso che nessuno mi ha cercato: non ho avuto alcun contatto con Ibra". 


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