Pato: "Quando ero giovane mi cercarono anche Juventus, Real, Barcellona, Inter e PSV. Ma io volevo solo il Milan"
Ospite nel podcast di Gianluca Gazzoli BSMT, Alexandre Pato ha ricordato i suoi anni in rossonero con grande nostalgia, svelando anche qualche retroscena particolare.
Sul primo gol con la maglia del Milan
"A me piaceva sol giocatore. Entrare a San Siro è stato bellissimo, poi segnare...Io piangevo quando ho fatto il primo gol in rossonero, quello contro il Napoli, perché okay, stavo facendo un gol, ma non capivo bene dov'ero. Piangevo perché avevo fatto un gol. Io ho sempre voluto fare quello che ho imparato".
Sui paragoni con altri grandi campioni
"Quando io sono arrivato dal Brasile tutti dicevano "Guarda il nuovo Ronaldo". Ma le mie caratteristiche erano un po' uguali, però io ero io. Io capisco oggi, però tanto tempo fa no. Ero incosciente".
Sulla derivazione del soprannome Papero
"Io vivevo a Pato Branco, il mio soprannome deriva lì. Papero è una traduzione del Pato. Io ero più giovane, mi chiamavano Alexandre Paranà, la regione della mia città, però c'era un ragazzo più grande della mia stessa squadra, dove giocavo io. Lui era Alessandro Paranà. Loro vennero da me, mi dissero che ero più giovane e che dovevo cambiare nome. Io acconsentii, mi chiesero da dove venissi, e mi chiamarono Pato. Però mi piace, è rimasto. Oggi faccio delle costruzioni in Brasile con la mia società, la Duck. È rimasto allora il nome Pato".
Sulla chiamata del Milan
"Quando ero giovane io andavano con la Nazionale brasiliana qualche volta. Oltre al Milan c'erano anche altri club, Juventus, Real Madrid, Barcellona, Ajax, PSV. L'Inter anche. Andai al Mondiale in Canada con la Sub21 brasiliana e prima di una partita ci dissero che c'era Ancelotti a vedere la partita. Io ho detto: "Ah, okay". Magari non so se era vero, ma lo stimolo di fare di più lo avevo avuto. Feci bene il Mondiale, ma venimmo eliminati praticamente subito, poi sono tornato in Brasile e l'allenatore della prima squadra dell'Internacional mi chiamò per fare una partita. Andò benissimo e pretese che rimassi. Andammo a giocare il Mondiale per club, vincemmo, ed io sapevo che c'era il Milan davvero. Dissi che era là che volevo andare, perché c'erano tutti: Ronaldo, Maldini, Nesta, Pirlo, Gattuso, Cafù, tutti, Kakà, Sheva, Pippo (Inzaghi, ndr). Io volevo andare là perché volevo giocare con i super campioni, quindi il mio agente venne ma io gli dissi che volevo andare lì. "Io gioco alla play e voglio andare lì" (ride, ndr). Io non sapevo l'importanza che era, io volevo solo giocare con loro. Io non capivo come era il Milan, io volevo andare lì e basta".
Sul retroscena con Shevchenko
"Arrivò Sheva con la maglia "la numero 7" e mi disse "Questa maglia è tua", e io non capivo l'importanza. È stato bellissimo, la scelta migliore nel momento giusto".
Sulla prima persona che ha conosciuto al Milan
"È stata Ariedo Braida, poi il dottore (Galliani, ndr)). Sono arrivato in aeroporto, poi ho fatto due ore a Forte dei Marmi. Da lì siamo andati in ospedale per fare le visite mediche. Poi Milanello".