Jacobelli contro Allegri sul caso Oriali: "Passi tutto, ma non gli insulti, volgari, rozzi, triviali, rivolti a un avversario"
Nel corso del consueto appuntamento con la sua rubrica per Tuttosport "La domenica del 10 e Lode", il direttore Xavier Jacobelli ha anche lui detto la sua sul confronto piuttosto accesso avvenuto a bordo campo tra Massimiliano Allegri e Gabriele Oriali durante la semifinale di Supercoppa che si è disputata giovedì a Riad tra il Napoli e il Milan:
"Non è dato sapere se Oscar Wilde sia una delle letture preferite di Gabriele Oriali e Massimiliano Allegri. Qualora lo fosse, attingendo ai celebri aforismi dello scrittore irlandese, l’uno troverebbe motivo di conforto e l’altro di frustrazione, dopo tutto quanto di inaccettabile è accaduto al termine di Napoli-Milan, addì 18 dicembre 2025, An-Alwwal Park Stadium, Riad, Arabia Saudita. Perché, passi l’adrenalina, o epinefrina che dir si voglia, schizzante a mille durante la partita e spesso difficile da scaricare subito dopo la fine della partita; passino la tensione nervosa, la giacca che vola, la giugulare che s’ingrossa. Non possono passare gli insulti volgari, rozzi, triviali, rivolti a un avversario, come le cronache saudite ci hanno raccontato a proposito del comportamento dell’attuale allenatore più vittorioso della Serie A. Ha scritto Wilde: «Le lodi mi rendono umile ma, quando mi insultano, so di aver toccato le stelle».
Una stella del calcio italiano è sicuramente Oriali, Eroe dell’82, alter ego di Antonio Conte, al cui fianco ha ricoperto un ruolo di fondamentale importanza per la costruzione dell’impresa tricolore, curando i rapporti con la squadra, fra la squadra e l’allenatore, fra l’allenatore e la società. Preferendo sempre essere e non apparire, rivelandosi l’uomo in più del quarto scudetto partenopeo. Ufficialmente coordinatore sportivo dell’area tecnica, in realtà, uno dei pilastri dell’Italia di Bearzot nel Napoli è molto di più. È l’essenziale. Il dirigente che cura con stile e autorevolezza i rapporti con la squadra, fra la squadra e l’allenatore, fra l’allenatore e la società. Preferendo sempre essere e non apparire. Emblematica nel maggio scorso era stata l’immagine della premiazione: lo ritraeva di lato, mescolato allo staff, mentre applaudiva i neocampioni d’Italia chiamati a ricevere la medaglia dello scudetto. Oriali non ha ottant’anni, come erroneamente credeva Allegri nella sua foga araba. Ne ha compiuti 73 il 25 novembre scorso. Nel 2019 è entrato nella Hall of Fame del nostro calcio italiano, categoria Veterano Italiano. Motivazione: «Per il suo straordinario contributo come giocatore (in particolare, con Inter e Fiorentina) e poi come dirigente, essendo un esempio di passione, leadership e legame con il calcio».
È la verità. Campione del mondo con l’Italia di Bearzot nell’82 al Bernabeu; due scudetti con l’Inter, nella quale ha militato per 13 stagioni, prima del quadriennio fiorentino e di intraprendere la carriera dirigenziale: da dg della Solbiatese a dg del Bologna, poi del Parma (una Coppa Uefa e una Coppa Italia), quindi undici anni all’Inter (5 scudetti, ai quali aggiungere il sesto conquistato al fianco di Conte; 1 Champions League, 3 coppe Italia, 3 supercoppe); l’Europeo 2021 con Mancini che ha coronato i suoi complessivi nove anni in Nazionale, della quale divenne team manager nel 2014, dopo l’addio di Gigi Riva; il trionfo tricolore sotto il Vesuvio. Una carriera eccezionale, quanto lo spessore dell’uomo prima ancora del dirigente.
Conte avvertì i tifosi già a Dimaro: «Che dire di Lele? Ho avuto il piacere e la fortuna di incontrarlo quando venni nominato ct da Tavecchio, che mi chiese se avessi ex amici o ex calciatori da introdurre come dirigenti in Nazionale. Io non avevo preferenze e lui mi propose Oriali, il primo della sua lista. Dopo dieci minuti, la lista l’abbiamo chiusa. Avevo trovato una persona a modo, seria, che parla poco, ma si fa capire. È importante in tutto, anche nella gestione con i calciatori. È un grande dirigente, ha la capacità di percepire le situazioni più diverse. Sono altri due occhi oltre ai miei. Non è tenero, ma giusto e, alla fine, i giocatori ti rispettano sempre». Quando si dice che, per essere ascoltati, non bisogna alzare la voce, si pensa a Oriali. Anche Allegri lo sa".