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Dal sale di Anconetani al Milan in black: con la sorte non si scherza

di Antonio Vitiello
Fonte: Tmw

L'acqua santa di Giovanni Trapattoni durante i Mondiali di Corea . Il sale sul terreno di gioco di Pisa del presidente Romeo Anconetani. Il cappotto di Renzo Ulivieri. Il rosario di Carlo Ancelotti, quando sedeva sulla panchina del Milan. La sciarpa di Roberto Mancini. I santini del Napoli e l'immagine sacra sui parastinchi di Tardelli. La mano sul petto di Hector Cuper ai giocatori dell'Inter. Il bando al viola di Massimo Cellino al Sant'Elia. I fili d'erba mangiati da Nicola Caccia e la cerata gialla di Aldo Spinelli. Il riscaldamento con tanto di gol a porta vuota di Omar Sivori e Diego Armando Maradona, il numero undici sulle spalle di Gigi Riva, fino alle mutande rosse di Fabian Barthez. Il calcio, da sempre, è ricco di riti scaramantici, per esorcizzare la malasorte e chiamare un bacio passionale dalla Dea Fortuna. Quella della maglia nera, però, è storia nuova. Sorride, Adriano Galliani. "A Londra non la volevo, ho provato di tutto pur di non portarla, ma non c'è stato niente da fare". Sorride, perché sa che l'argomento è frivolo e piazzarci su una battuta è pratica a lui ben familiare, da scafato e abile trascinatore di interviste e chiacchierate. Però con madama Sorte non si scherza e, seppur la novella racconti che adesso il Milan è ai quarti, il futuro si tingera di giallo. Ed altro che mistero, quello è ciò che si porta con sè l'aura della maglia nera. Quella degli ultimi, al tempo delle due ruote e delle salite ciclistiche che furono. E Galliani, da uomo d'ironia e d'esperienza, sorride ancora. Ne è pieno il calcio, di queste storie. Dai ventisei chili di sale di Anconetani, al numero 9 indossato una volta sola da Riva. Si ruppe la gamba. Con la Sorte, meglio non scherzare.


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