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Brocchi: "In tanti avevano costruito un certo tipo di rapporto con Berlusconi, ma non io. Io non ero uno che lo chiamava, che cercava di fargli il lavaggio del cervello"

di Antonello Gioia

Lunga intervista di Cristian Brocchi, ex tecnico di Milan, Brescia, Monza e Vicenza ai microfoni di Radio Serie A. Al centro dell'attenzione proprio il via della sua carriera da tecnico, subito sulla panchina del club rossonero al quale erano legati i maggiori successi ottenuti nel percorso da calciatore:

"Da allenatore è stato un percorso completamente diverso. Sono stato lanciato subito dopo 3 anni di settore giovanile ben fatti, mandato in prima squadra negli ultimi due mesi e mezzo con il Milan ed è stato un momento difficile, perché fino alla sera prima eri un grande allenatore, un prossimo allenatore, uno che aveva delle belle idee, un predestinato. E dalla sera alla mattina mi sono ritrovato sulla panchina del Milan, in un momento di grande difficoltà. Ma non mi faceva paura quell'aspetto. La cosa che mi ha fatto male e che ancora oggi non mi spiego, è quel termine "lecchino" che mi hanno appiccicato come un'etichetta. Non mai stato né il lecchino né il cocchino del Presidente Berlusconi. Sono stato una persona che lui ha stimato per le mie modalità di lavoro, per il modo in cui proponevo calcio o mi sapevo comportare. Penso che gli uomini di grande potere non regalino posizioni importanti per simpatia, anzi. Anche perché in tanti avevano costruito un certo tipo di rapporto con Berlusconi, ma non io. Io non ero uno che lo chiamava, che cercava di fargli il lavaggio del cervello. Lui mi aveva seguito e mi aveva scelto come allenatore. Però io penso che ci siano stati degli altri miei compagni con lo stesso percorso. Ma loro hanno avuto contratti, due anni, tre anni. Io sono arrivato al Milan per gli ultimi due mesi e mezzo a scadenza di contratto. Se fossi stato il suo cocchino o altro probabilmente già in quelle circostanze avrei fatto qualcosa di diverso.

Era solo stima da parte sua, fine. Ancora oggi c'è gente che mi etichetta così. Questa cosa ha condizionato la mia carriera di allenatore perché poi l'anno dopo ho fatto la scelta di andare a Brescia, una piazza importante, esigente, con tifosi caldi. A Brescia ho tanti amici, ci sono tantissimi milanisti. Avevamo fatto un girone d'andata bellissimo con una squadra di ragazzini, società che non aveva tanti soldi in quel momento. Alla prima giornata di ritorno mi sono ritrovato a dover affrontare situazioni particolari".


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