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Acerbi: "Anche dopo l’assoluzione ho percepito un grandissimo accanimento, come se avessi ammazzato qualcuno"

di Antonello Gioia

"Sono triste e dispiaciuto: è una vicenda in cui abbiamo perso tutti". Le parole - in merito alla vicenda che ha catalizzato l'attenzione del mondo del calcio e non solo - sono dello stesso Francesco Acerbi, che dopo l'assoluzione dalle accuse di insulti razzisti a Juan Jesus, torna a parlare sulle pagine del Corriere della Sera. "Quando sono stato assolto, ho visto le persone attorno a me reagire come se fossi uscito dopo dieci anni di galera, molto contente di essere venute fuori da una situazione del genere: sono state giornate molto pesanti".

Perché parla solo oggi?
"Perché avevo fiducia nella giustizia e non volevo rischiare di alimentare un polverone che era già enorme. Adesso che c’è una sentenza, vorrei dire la mia, senza avere assolutamente nulla contro Juan Jesus, anzi è il contrario perché sono molto dispiaciuto anche per lui. Ma non si può dare del razzista a una persona per una parola malintesa nella concitazione del gioco. E non si può continuare a farlo anche dopo che sono stato assolto".

"Se ti danno dieci giornate e passi per razzista cosa fai? Poteva succedere qualunque cosa - continua Acerbi - : sarei stato finito non come calciatore, che mi interessa fino a un certo punto, ma come uomo. Tutti avevano già emesso la sentenza prima ancora che uscisse. E per tanti sono razzista anche adesso: sinceramente non ci sto, le gogne mediatiche non vanno bene e soprattutto non servono per risolvere un problema come quello del razzismo che sicuramente esiste. E che non intendo sminuire nemmeno un po’: voglio che sia chiaro".

La sentenza non è stata una liberazione?
"Lo è stata, ma nella liberazione sono comunque triste per tutta la situazione che si è creata, per come era finita in campo, per come ci hanno marciato sopra tutti senza sapere niente. Anche dopo l’assoluzione ho percepito un grandissimo accanimento, come se avessi ammazzato qualcuno".


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