Tutti in ritiro per salvare il salvabile. Ma chi salverà il Milan?
Ritiro. Forse punitivo, forse soltanto l’ultimo tentativo di salvare il salvabile, se qualcosa da salvare, effettivamente rimane. Il post partita di Udine ci consegna un Inzaghi finalmente cosciente della pochezza di mezzi e uomini (badate, non unite i due termini, si avrebbero effetti distruttivi) a sua disposizione. Una presa di consapevolezza tardiva, che ormai a poche giornate dalla fine del campionato ha gli effetti di uno scoppio roboante nell’ambiente. Il battibecco a cui abbiamo assistito tra Costacurta e Inzaghi, quello precedente che ha coinvolto Boban, sono segnali di un male terminale che, venuto alla luce, è ormai talmente esteso, che difficilmente si potrà curare. L’unica soluzione, l’unica speranza è quella di poter fare tabula rasa di una stagione talmente deludente da risultare quasi irreale. I “te l’avevo detto”, le salite e discese dai carri, i tentativi di arginare il dramma, sono serviti e servono a poco, soprattutto in chiave futura. Qui siamo arrivati sul bordo dell’abisso, che in questa stagione fortunatamente non potrà ingoiare i rossoneri, ma che sembra pronto a farlo se qualche cosa non cambierà. La speranza arriva da Oriente, la terra del Sol Levante è il miraggio che ci consente di ragionare in chiave futura. Le critiche ad Inzaghi, le prese di posizione dell’allenatore rossonero nei confronti dei suoi giocatori, nulla di questo può salvare il Milan. La società ha bisogno di nuove forze, ovviamente in primis in chiave economica. Ma questo non basterà: avere più soldi a disposizione senza le giuste idee sulle quali investirli, non farà altro che gonfiare il sacchetto dei debiti, delle minusvalenze, delle scelte gestionali rivelatesi poi errate in corso d’opera. La stagione del Milan è iniziata e finisce senza un misero progetto, quasi in modo casuale. Facile puntare il dito su Inzaghi allenatore. In fondo bisognava aspettarselo che non sarebbe bastato il suo entusiasmo per dare vigore ad un gruppo mal amalgamato e al di sotto del valore cui il Milan, nelle stagioni precedenti della gestione Berlusconi, ci aveva abituati.
Di si riparte dal ritiro a Milanello per cercare di radunare le ultime energie possibili, prima che queste implodano distruggendo, dall’interno, tutto quanto. Lo scontro, la discussione, tra Inzaghi e i suoi uomini sul pullman che li avrebbe riportati all’aeroporto, arriva come un fulmine a ciel sereno. Non tanto come notizia, ma per il fragore che le sue parole hanno avuto nel panorama domenicale del nostro calcio. Un Inzaghi deluso, furioso, forse anche impaurito dal poter perdere, da un momento all’altro, tutto il suo lavoro e il suo futuro. Un esonero a questo punto della stagione, oltre che difficile da gestire sotto ogni profilo, avrebbe distrutto un uomo, la cui colpa è stata quella di accettare un sogno senza fare i conti con le problematiche che, allenare una squadra come il Milan senza quasi alcuna esperienza, comportava. Non posso giudicare Inzaghi per questa scelta, l’ho già scritto più volte. Chiunque avrebbe accettato. Caso mai critico il mancato passo indietro, nel momento in cui si è reso conto della complessità del suo incarico. Critico la mancanza di coraggio nel fare una scelta che, probabilmente in un altro periodo, l’avrebbe fatto rimanere il paladino dei tifosi, ormai talmente delusi e amareggiati da non riuscire a scindere tra l’eroe che ha scritto pagine di storia rossonera e l’uomo che, per realizzare il suo sogno, ha coinvolto il Milan in un incubo. Eppure, nonostante questa presa di coscienza, non riesco a vedere il solo Inzaghi sul banco degli imputati. Semmai potrebbe essere coinvolto nel processo in concorso di colpa. Se è vero che la rosa rossonera attuale è la meno forte degli ultimi anni, è vero anche che il Milan, nel suo complesso, è molto più forte di squadre che, invece, ci hanno piegati sul campo. Non può essere colpa solo dell’allenatore, evidentemente anche i singoli, sul campo, non hanno fatto il loro dovere. E allora benvenga il ritiro, anche se tardivo e a ridosso di una partita che, ad oggi, incute anche timore. Prima di Udine, il Milan aveva dato qualche pallido segno di ripresa, ma la sconfitta maturata contro la formazione di Stramaccioni ha messo in luce tutti i problemi che hanno accompagnato la gestione Inzaghi nel corso dell’anno. Poche idee, confusione tattica, ma soprattutto la consapevolezza di dover dipendere dallo stato di forma di soli pochi interpreti. Su tutti Menez che, ben arginato, non è riuscito ad innescare la scintilla dalla quale accendere il fuoco. Si salvi chi davvero ha a cuore questa nostra maglia rossonera, a prescindere da ingaggi, età, tecnica. Non ci sono obiettivi da raggiungere, per questo Milan, Inzaghi ha rischiato l’esonero più volte in questa stagione, inoltre le trattative per la vendita del club sembrano in fase avanzata e, da ciò che trapela, nei piani dei nuovi acquirenti il suo nome apparirà solo a libro paga. E’ il momento del colpo di coda, per Inzaghi e per il Diavolo. Ritiro. Se non punitivo, almeno foriero di qualche cambiamento.