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Pace forzata nella sala delle Coppe. Allegri deve lavorare ad un progetto in libertà, i tumulti mediatici fanno male anche al Milan

di Giulia Polloli

Pace fatta. Quella ovviamente tra Allegri e Inzaghi, chiamati nella sala delle Coppe a suggellare la reciproca stima. Le immagini attestano liete novelle, ma in molti rimane il dubbio che le notizie uscite sui media nei giorni scorsi, non fossero proprio prive di fondamento. Questo è l’ennesimo episodio che ci fa capire quanto il Milan sia inequivocabilmente in uno stato di transizione. Certe cose in casa Milan non sarebbe ro successe o, magari, sarebbero semplicemente state blindate al pubblico, senza bisogno poi di una pace mediatica che, negli ultimi tre mesi, sembra essere la protagonista assoluta della vita di Allegri. Prima Berlusconi, poi Galliani, ora Inzaghi: il povero Acciuga sembra doversi sentire le sue in qualsiasi contesto in qualsiasi occasione.
Così è più difficile lavorare, con gli occhi di tutti puntati addosso, con il fiato sul collo per il raggiungimento di un obiettivo, quando sai perfettamente che rispetto agli altri anni, non è l’obiettivo ad essersi allontanato, ma le energie e la fantasia da utilizzare per raggiungerlo.
Allegri deve cambiare rotta, deve rimettersi al timone del Milan e sfidare la tempesta da solo contro tutti. A disposizione i suoi uomini, da schierare sul campo secondo geometrie innovative e decisamente lontane dai ricordi del Milan che fu. Lo sostiene anche Galeone, che di Allegri è stato maestro, forse il tecnico livornese ha qualche jolly ancora da giocarsi prima di mostrare le carte al banco.
La partita di domani a Udine diventa crocevia importante per la stagione rossonera, ma altrettanto fondamentale per Allegri e il suo futuro sulla panchina del Diavolo.
Non prendiamoci in giro, seppur in molti, troppi, sanno che non è l’allenatore la causa portante dl declino del Diavolo, è più facile che sia lui, prima o poi, a doverne pagare le conseguenze.
A maggior ragione se si torna sulle dichiarazioni di Berlusconi che mai, nel suo regno, aveva usato parole così sprezzanti e definitive nei confronti di quella che è stata ed è tutt’ora, anche zoppicante, la sua creatura.
Allegri come può lavorare in tranquillità quando espressioni di spregio vengono diramate in mondo-visione?
Come possono stare sereni i giocatori di fronte alle immagini che attestato la caduta degli dei fino ed oltre gli inferi? Trovare fiducia in mezzo al marasma non è facile nemmeno per i caratteri forti, il gorgo tende a trascinarti ancora più verso l’abisso e il destino di ognuno è legato solo al ritrovamento di un solido appiglio grazie al quale riemergere.
E quell’appiglio deve essere trovato nell’illuminazione tecnica dell’allenatore o nella riscoperta del talento dei giocatori a disposizione? Forse se entrambi i parametri venissero uniti in una sinergia comune, si potrebbe ottenere da subito un risultato. Mi spiego.
Non è più il momento dei capricci, delle primedonne viziate, è il momento di rimboccarsi le maniche e di mettere a disposizione del gruppo e del tecnico il proprio talento. Se Boateng ha voglia di vestire quel numero 10 tanto pesante quanto carismatico, deve dimostrare di poter giocare una partita da manuale. Vuol fare il trequartista? Non si abbassa a nessun altro schieramento? Bene. Dimostri allora di essere almeno l’ombra del giocatore che abbiamo conosciuto lo scorso anno che però, ricordiamolo, aveva Ibrahimovic al fianco che poteva risolvere anche le sue imperfezioni con il propri colpi di genio. Non è certo responsabilità di Boateng se il gioco del Milan non decolla, ma anche lui forse ci mette del suo. Pazzini ed El Shaarawy, in attesa spasmodica del rientro di Pato e Robinho possono trovare i guizzi vincenti solo se supportati dalla corsa sulle fasce a cui ci aveva abituati Abate, ad esempio, Nocerino deve riprendere le redini del centrocampo come fece Gattuso, imporre la sua tignosa e caparbia fisicità condita con quel tocco deciso che ha fatto esultare il popolo rossonero quasi fosse un attaccante di ruolo. I problemi del Milan poi sono legati agli incursori che sembrano arrivare al limite dell’area in apnea.
Allegri deve rischiare, deve abbandonare il suo credo tattico per il quale non ha più le pedine adeguate, deve rilanciare magari bleffando sperando di vincere la mano per poi prendere altro tempo per riflettere e riorganizzare le risorse a disposizione. Ci vuole calma però, pazienza e soprattutto libertà di poter lavorare senza pressione. Ogni mossa ora scopre un risvolto nefasto: chi sbaglia paga, l’ombra di un successore è talmente cupa da essere quasi tangibile. Allegri ha a disposizione uomini e idee: deve diventare un pittore, un artista, che ha colori e pennelli e un foglio bianco. L’opera d’arte sarà riconosciuta solo se l’estro dell’autore avrà seguito l’idea illuminante, altrimenti anche quel foglio, diventerà banale carta straccia.


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