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...Al Maktum: vana speranza o "pericolo" reale?

di Emiliano Cuppone

“Un ricco emiro faceva blen blen”. Così cantava Rino Gaetano in una delle sue hit targate 1979, quella “Ahi Maria” che narra di un uomo che, pur vivendo una vita splendida fatta di agi spropositati, rimpiange la sua donna con tutti i suoi rimbrotti e le noie di un rapporto di coppia. La canzone mi è venuta in mente leggendo un po’ ovunque di questo incontro fra Silvio Berlusconi e l’emiro Mohammed bin Rashid Al Maktum, da più parti dipinto come la possibile svolta per le sorti rossonere, foriero di acquisti colossali e di stadi di proprietà.
Quello che non torna a chi scrive, però, è come questo facoltoso primo ministro del Dubai possa accontentarsi di una quota di minoranza della A.C. Milan S.p.a. (a molti non piace ridurre la squadra più titolata al mondo ad un’azienda, ma agli effetti è ciò che starebbe accadendo). Perché lo sceicco dovrebbe versare nelle casse di casa Berlusconi (perché è lì che finirebbero e non in quelle del Milan, contrariamente a quanto da molti ritenuto) una cifra che si aggirerebbe intorno ai 200 milioni di euro, per entrare in un’azienda perennemente in perdita, senza guadagno economico alcuno e per di più senza avere un predominante potere decisionale?
Le due risposte a questa domanda sono in netta opposizione fra loro. La prima (più plausibile) vede la trattativa con Al Maktum semplicemente volta ad un interesse pubblicitario e nulla più. D’altronde il Milan negli ultimi anni è stato accostato a questo e quell’altro investitore estero, russi, americani, balcanici ed adesso arabi, con i tifosi del diavolo che si sono precipitati a comprare i vocabolari più disparati. La seconda vede il sig. Al Maktum interessato ad acquisire l’intera società o, quantomeno, una fetta di essa ben più ampia di quel 25% di cui si parla. Un ingresso di prepotenza nel calcio italiano degli sceicchi che tanto bene stanno facendo in altri campionati europei, per la felicità dei tanti supporters rossoneri che invocano a gran voce la cessione della società a chi ha voglia di spendere follie per riportarla ai vertici in tempi brevissimi.
Tenendo per buona quest’ultima ipotesi, chi scrive vorrebbe ricordare, però, un ragionamento fatto circa un anno fa da Federico Buffa (attento osservatore dello sport in tutte le sue sfaccettature, ivi comprese quelle economiche) il quale aveva un’interessante teoria sull’invasione degli sceicchi nel calcio europeo. Secondo le fonti dell’avvocato Buffa, infatti, gli emiri non sarebbero spendaccioni vogliosi di gettare i loro petrol-dollari in avventure sportive per il solo piacere di dimostrare le proprie possibilità economiche. Al contrario, i signori arabi avrebbero un progetto ben preciso, volto a colonizzare il calcio che conta, acquisendo una squadra per campionato (di quelli che pesano naturalmente), con il fine ultimo di alzare il gradimento nei propri confronti e spostare l’asse calcistico verso est, sfruttando il ponte dei mondiali di calcio 2022 che si terranno in Qatar, di fatto “defraudando” l’Europa del suo prestigio calcistico e traslocando in medio oriente con i campioni di loro “proprietà” il prima possibile.
A questo punto in molti penseranno che tutto ciò sia impossibile, che un cambio così epocale degli assetti d’interesse del calcio mondiale non sia praticabile e sia frutto di un ragionamento del tutto sconnesso dalla realtà (e come biasimarli), rimanendo convinti di non volere altro che un “Mansour-bis” alla guida del Milan, con investimenti milionari e campioni come se piovesse.
Allo stesso tempo, però, bisognerebbe ricordarsi di quel nuvolone minaccioso, ormai è ad un passo dalle nostre teste, che porta il nome di “Fair Play Finanziario”. Se è vero, come è vero, che l’effetto di questo strumento Fifa sia quello di obbligare le società a “camminare con le proprie gambe”, impedendo ai proprietari di scaricare nei bilanci vagonate di euro (o di petrol-dollari), non si capisce come un facoltoso emiro possa incidere sulle sorti del Milan nel momento (ormai prossimo) in cui questo strumento sarà operativo. Se è vero, come è vero, che l’intento di Platini sia quello di abbattere i costi di gestione delle società di calcio, la conseguenza dovrebbe essere quella di un progressivo abbassamento del prezzo dei cartellini e degli ingaggi dei calciatori i quali si dovrebbero “accontentare” di stipendi pur sempre milionari, ma con non più di una cifra davanti ai sei zeri.
In un contesto del genere, chi potrebbe impedire agli sceicchi di prendere armi e bagagli e traslocare nuovamente in patria, portando con loro campioni da ricoprire di soldi, lasciando le società europee in mano al “primo che capita” e svuotate dei loro giocatori simbolo?
Fantasia o Vaneggiamento? Eppure non è vero che già oggi, in un contesto ben diverso da quello presentato, giocatori del calibro di Eto’o ed allenatori del calibro di Lippi hanno accettato di trasferirsi in campionati minori a fronte di stipendi faraonici?
Con una tale prospettiva, chi scrive preferirebbe tenersi stretto il presidente Berlusconi alla guida del Milan, lui che, al di là dell’affetto che nutre nei confronti del diavolo (elemento dai più sottovalutato e per molti storiella a cui non credere più), ha interessi tali in Italia, ed a Milano in particolare, che non potrebbe permettersi una caduta d’immagine devastante come quella che ne deriverebbe dall’abbandono totale dei colori rossoneri. Non sarebbe più sensato mantenere in piedi un assetto dirigenziale capace di progettare e gestire al meglio i fondi a disposizione (seppur ridotti), caratteristica fondamentale in clima di Fair Play Finanziario, come fatto sino ad oggi da Galliani e soci, piuttosto che attirare facoltosi investitori mediorientali al grido di “pace, prosperità e lunga vita al Sultano”, come cantava sempre Rino Gaetano in “Spandi, spendi, effendi” del 1977?


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