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Pioli sulla graticola: giusto così. Un solo grande problema, un solo grande avversario: gli infortuni. La farsa dei calendari. Il ruolo di Ibra. Che schifo l'ultima trovata delle "Iene"

di Luca Serafini

Più ripenso alle partite contro Newcastle, Borussia, Paris St. Germain e il primo tempo di Napoli, a quelle 7 vittorie nelle prime 8 partite di campionato, più mi convinco del refrain che recito a memoria da tempo, diciamo pure qualche anno: il più grande limite, pericolo, avversario, problema del Milan sono gli infortuni. Troppo frequenti, troppo numerosi, troppo penalizzanti. Nessun giudizio può essere completo e credibile se non si parte da questo presupposto. Formazione iniziale, panchina, cambi, sistema di gioco, sono costantemente condizionati da questa falcidia su cui lo stesso Pioli pone spesso l'accento.

Non è un alibi né una giustificazione per l'allenatore: lui è il responsabile, lui conosce la situazione, lui deve intervenire. A 360 gradi: infortuni, formazioni, cambi, modulo, atteggiamento, risultati... Dove sta la novità? L'allenatore è per definizione, stipendio, ruolo, il primo responsabile e di conseguenza vive sui carboni ardenti, sulla graticola: a marzo Simone Inzaghi era legato sul trampolino del vascello, pronto a diventare cibo per coccodrilli, e alle prime difficoltà nerazzurre tornerà al centro del mirino. Mourinho e Sarri lo sono perennemente, Garcia pure, Allegri non ne parliamo. Solo il Gasp vive in una cortina inviolabile, tra i tecnici delle prime della classe: all'Atalanta si vive meglio tra aspettative, pressioni e ripetuti miracoli (di lavoro) sportivi. E' un'altra storia. 

Al Milan passeggiavano in equilibrio sul filo Sacchi, Capello, Ancelotti, figuriamoci Pioli. Il quale non è infallibile, commette errori di valutazione e di testardaggine: non ho conosciuto in vita mia un allenatore che non fosse cocciuto. E come potrebbe? Io non difendo Pioli, mi limito ad analizzare il percorso di questi anni in cui, con giocatori tutti da valutare e infortuni che si verificano ogni settimana, ha ridato alla squadra rossonera credibilità, risultati, competitività e una dignità che si era perduta nel senso dell'affezione e dell'appartenenza. Ribadisco la mia opinione: resta l'uomo giusto arrivato nel posto giusto al momento giusto. E per quanto mi riguarda, tale rimane. Mi piacerebbe sapere, tra i tagliatori di teste sparsi nei dopo partita, quali sarebbero le alternative eventuali. Le critiche sono sane, fanno bene, aiutano, a condizione che non siano aprioristiche, dettate da simpatia o antipatia. O dall'umore del momento. Devono basarsi su analisi lucide.

I romanzi di liti, spaccature, insulti, discussioni, mani addosso nello spogliatoio o addirittura in albergo, non trovano né prove né riscontri e una prestazione di orgoglio come quella di martedì sera certifica l'unità di un gruppo che - come molti - soffre di discontinuità soprattutto a causa delle reiterate assenze. I pistolotti da bar, che purtroppo appartengono anche a una piccola rappresentanza di tifosi rossoneri, secondo cui lo scudetto 2022 lo avrebbe regalato l'Inter e la qualificazione Champions 2023 la Juve, non mi appartengono: quando uno vince, c'è sempre un altro che perde. Che regala. Ma il primo uno ne approfitta e appunto, vince... E l'altro perde, specie se vien scoperto a truccare le carte.

Quindi, dove starebbe la necessità di intervento pubblico di una società che dal primo giorno ha scelto il profilo basso, non commentano fake news, arbitraggi, voci incontrollate di mercato? Giusto o sbagliato che sia, proficuo o no, questo è l'atteggiamento e questo rimane. Oggi si parla del ritorno di Ibra in veste di dirigente (o consulente, come preferite): quando tornò da giocatore nel 2020, Mino Raiola mi disse che credeva nel progetto ed era convinto che il Milan sarebbe tornato grande. Fu un sollievo perché si arrivava da troppi anni di apatia, smantellamento, mediocrità e confusione. Aveva ragione. Se adesso accetterà un ruolo dirigenziale, cucito su misura su di lui, sarà un'ulteriore garanzia di solidità di un progetto che prosegue: non sarà né una spia, né un mental coach, né un totem eretto a Milanello. Sarà un dirigente con esperienza, saggezza, voglia di imparare e crescere in un mestiere nuovo. Paolo Maldini ci è riuscito con orgoglio e passione.

Tra campionato e coppe europee, ognuno dice la sua sui calendari. Un argomento che non mi ha mai appassionato in alcun modo. Tra presunti favoritismi e calcoli a tavolino, ognuno faccia il suo percorso e alla fine tirerà le somme. Se nel sistema c'è qualcosa che non va, bisogna affrontare il tema a giugno, non a novembre.

Chiudo col deprecabile spettacolo offerto dalle "Iene", normalmente così bravi nel sostituirsi a giornalisti d'assalto con inchieste, reportage, scoop e approfondimenti degni del vecchio mestiere. Non capisco la necessità di inventarsi la figura di un disabile politicamente scorretto, che aspetta giocatori e allenatori a fine allenamento per autografo e fotografie, dopo di che li prende in giro o addirittura li insulta. Una trovata schifosa, senza senso, senza umorismo, senza ironia. Solo molto cinismo nel provocare disgusto al telespettatore e ponendo un dubbio sui disabili veri e non manipolati, che vivono invece momenti di grande gioia e conforto con uno scatto e una firma dei loro beniamini. 


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