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Lo scudetto non è stato un miracolo. Tocca a Pioli e ai giocatori, ma serve un segnale dalla proprietà. Portate nell’anima e in campo i canti della Sud all'Olimpico

di Luca Serafini

Il momento più cupo nel triennio di Stefano Pioli continua a bruciare certezze e ottimismo, dopo la detonazione avvenuta in quei maledetti minuti della partita (dominata in lungo e in largo) contro la Roma. Solo 19 giorni fa all'87' il Milan stava conducendo in porto la seconda vittoria consecutiva, dopo quella precedente a Salerno, al termine delle 2 migliori partite della stagione, probabilmente, per gioco e atteggiamento. Ibanez e Abrahm hanno picconato entusiasmo, fiducia, autostima, sbriciolando l'umore dei rossoneri che poi sono scomparsi nelle 4 successive partite catastrofiche: Torino, Lecce, Inter, Lazio, 3 sconfitte e un pareggio affannoso, 10 gol al passivo, 2 all'attivo. Nessuna reazione, nessun segno di vita, involuzione tattica, fisica, mentale.

E' chiaro che una crisi così profonda, un tunnel così spaventoso imboccato 3 settimane fa, ha radici più lontane. L'uno-due giallorosso a San Siro è stato ferale, ma ha squassato un impianto evidentemente già fragile nello spirito. Le dichiarazioni di Tonali dopo l'Atalanta, soltanto alla seconda giornata di campionato il 25 agosto, suonano ora come un allarme inascoltato: "Dobbiamo capire che questo è un altro campionato, non c'è la concentrazione giusta. Siamo partiti come se fosse la 39esima giornata. E' un momento difficile fuori dal campo". Un segnale che non è stato colto, anche perché i rossoneri arrivavano da un discreto precampionato, dalla bella vittoria in casa sull'Udinese e a Bergamo avevano dominato la gara, subendo un tiro e un gol e finendo 1-1, però. Una situazione che si sarebbe ripetuta più volte nel prosieguo della stagione: concretizzi in bassa percentuale rispetto a quello che crei e al minimo pertugio gli avversari ti infilano. Kjaer ha completato il quadro nelle dichiarazioni dopo la Supercoppa: "Dobbiamo leggerci dentro". Perché, ancora una volta, se i problemi riguardano l'attenzione, la concentrazione, la determinazione, è evidente che la natura sia psicologica. Mentale. La squadra e il suo allenatore hanno smarrito tutte le loro convinzioni e i loro punti di riferimento. Fare quadrato non è uno slogan: significa guardarsi in faccia, discutere, ognuno allo stesso scopo dell'altro, ritrovarsi e ripartire.

Al netto di questo primo punto che ritengo personalmente il più importante, quello che più di ogni altro condiziona la squadra in queste ultime settimane, ci sono molte altre cose di cui abbiamo già parlato venerdì scorso. Il mercato estivo, anzitutto, perché non sta dando il minimo supporto. I troppi infortuni e la lunghezza dei recuperi a cominciare da Maignan. L'impossibilità palese di poter insistere con un modulo tattico vincente, che tale non è più: in trasferta il Milan fatica da inizio anno, anche quando vince. In compenso San Siro è una roccaforte e il ritorno a casa dopo i frullatori di Lecce, Riyadh e Roma, può essere una bell'aiuto per rialzarsi. Queste situazioni vanno gestite con freddezza, lucidità, decisione, coraggio, intelligenza. Bisogna portare nell'anima la Sud che canta e incita anche al fischio finale dopo il 4-0 dell'Olimpico, bisogna pensare di restituire ai tifosi quella sensazione di credere in quello che si sta facendo. Come è stato per 3 anni fino all'87' contro la Roma.

I giocatori sono i primi responsabili, ma non gli unici. Sono comunque loro che vanno in campo, sono loro che andranno in campo contro il Sassuolo. Sono loro che devono avere la coscienza, la consapevolezza, la volontà ferrea di potere e volere cambiare le cose. 

Vanno aiutati, però. Serve un cambio di uomini e forse di modulo. La squadra è sfaldata, va ricompattata a cominciare dal sistema. Mi spiace per molti di voi lettori, ma non sconfesso Stefano Pioli proprio adesso nelle difficoltà, anche se così profonde, continuando a credere nella sua lucidità. Non sconfesso né Maldini né Massara. Né questa squadra. Lo scudetto non è stato un miracolo, non è stato un caso. E' stata la conclusione (meritata, naturale e trionfale) di un lavoro iniziato con le 9 vittorie nel post lockdown, proseguito con le 27 giornate consecutive in testa alla classifica nel campionato 2021-22 e il secondo posto finale, con i molti record sbriciolati in 3 anni, con la qualificazione agli ottavi di Champions dopo 8 anni e con questo girone di andata dove - dietro al Napoli in volo - c'è stato sempre e solo il Milan.  

Semmai, attendo come tutti un segnale dalla proprietà. La squadra va aiutata, ma anche dirigenti e allenatore. Perché con Thiaw, Dest, Vrancks, Adli, DeKetelaere e Origi, ma senza Maignan, Calabria, Kjaer, Krunic, Rebic, Ibrahimovic, sei secondo e lo sei stato per tutto il girone di andata. Grazie al basso livello del campionato italiano? Può essere, ma evidentemente a questo livello il Milan si è adeguato e ha ritrovato solidità e competitività. Da 3 anni e fino all'87' del 9 gennaio 2023. Gli altri, quelli che hanno fatto un mercato più corposo e numeroso, sono dietro e sono sempre stati dietro. Le frasi di Paolo Maldini martedì sera, saranno anche di un aziendalista (l'insulto più inflazionato dai tifosi nei confronti di chi cerca di analizzare, senza scagliarsi contro questo e quello), ma rispecchiano la realtà: sei caduto in una buca non perché era inevitabile dopo un miracolo che tale non è stato affatto, ma perché non sei più attento a dove metti i piedi. 

Seguendo in tv la disfatta di Roma, si sentivano più forti i canti e i cori della Sud che dei tifosi laziali. Soprattutto a fine partita: un incitamento incrollabile, a oltranza. I campioni d'Italia se li stampino nel cervello e nel petto, la usino come benzina per orgoglio e amor proprio. E ricomincino subito a fare quello che sanno fare, per chi ancora ci crede e per loro stessi, per non dare fiato a chi pensa siano stati tutti miracolati, solo miracolati grazie al fato, alla sorte, a Radu e a nient'altro.  


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