L'anticipo di Galli - L'addio alla Champions, le responsabilità e l'anello debole
È stata un’altra settimana di sofferenza per il popolo rossonero. Ma questa volta la sofferenza è stata più acuta, più sconfortante, quasi anestetizzante (i milanisti evitano di parlare fra di loro della serata di martedì 18), perché il verdetto è definitivo e assurdo. Definitivo, perché il pareggio maturato nella notte di San Siro contro il modesto ma valoroso Feyenoord ci ha eliminati dalla Champions. Assurdo, perché la squadra ha giocato il miglior primo tempo della gestione Conceição, segnando dopo un minuto con Gimenez, che sta mettendo in mostra una familiarità col gol davvero entusiasmante, mostrando continuità di proposta di gioco e riuscendo ad andare alla conclusione in diverse occasioni. Ricordo anche, al 17’, una collaborazione in fase difensiva tra Theo Hernandez e Leao, a ridosso della nostra area di rigore, proprio a sottolineare, oltre alla lucidità del progetto tecnico, lo spirito della squadra.
La prima avvisaglia del cortocircuito che ci avrebbe travolti l’abbiamo avuta con la prima ammonizione comminata a Theo. Correva il 44’ del primo tempo. La dinamica ricorda il gioco di strada, in cui ognuno, in qualche modo, si ritiene il depositario delle regole: il francese strattona platealmente l’avversario trascinandolo con sé e viene, giustamente, ammonito.
L’inizio del secondo tempo è stato la prosecuzione di quanto visto nel primo. Il Milan aveva la partita in pugno, ci si aspettava il secondo goal, quello del KO: e invece, ancora Theo, affrontato da un avversario in uno dei suoi slanci offensivi, punta il piede a terra in piena area di rigore,arrestando la sua corsa e cadendo a terra. L’arbitro non ha dubbi: simulazione. Estrae il cartellino giallo e poi quello rosso e il Milan si ritrova in dieci, mentre ognuno di noi dentro di sé dice “ecco!”, quasi che una sciagura – prima o poi – debba arrivare in ogni partita.
È chiaro che da quel momento il match è cambiato tatticamente, e si possono discutere fin che si vuole le scelte dell’allenatore, ma sono cambiati soprattutto gli equilibri emotivi in campo, con il Milan debordante del primo tempo e di parte del secondo autocondannatosi a subire il ritorno degli olandesi, increduli per il regalo e decisi a sfruttarlo al meglio. Com’è andata, lo sappiamo anche troppo bene.
Theo ha le sue responsabilità, non v’è alcun dubbio, e ci piacerebbe sapere che al di là del messaggio social, che dice cose magari vere ma ovvie, sta lavorando per uscire da uno stato di scarsa concentrazione che lo accompagna dall’inizio di questa stagione: essere consapevoli, dare un nome e un senso alle cose ci permette di affrontarle e di provare a risolverle.
Ibra e Mister Conceição, lo hanno difeso. Il Mister ha anche dichiarato che la sconfitta non ha il volto di Theo ma il suo. Comportamenti nobili, dovuti, ma non dobbiamo cadere in un capovolgimento delle responsabilità e spostare la figura del capro espiatorio da un giocatore al tecnico e/o viceversa. Non vogliamo capri espiatori. Io, almeno, non mi sento di dare delle responsabilità al tecnico, perché se è vero che la sostituzione di Gimenez con Fofana può aver dato un’ulteriore spinta ai nostri rivali, è anche vero che il goal lo abbiamo subito dopo soli 2’ dal suo ingresso, quando il piano, giusto o sbagliato che fosse, non aveva ancora avuto il tempo di essere messo in pratica. Inutile, insomma, continuare ad accanirsi sugli eventuali responsabili. Marcelo Bielsa, tecnico argentino di uno spessore umano ineguagliabile, sostiene che “una squadra è tanto più forte quando comprende l’importanza di difendere l’anello più debole”.
Le energie rimaste, di qualsiasi natura esse siano, devono essere messe al servizio nella conquista del quarto posto e della Coppa Italia. Alle porte c’è la sfida con il Toro e non possiamo più commettere errori.
Forza Milan!
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