In Curva Sud siamo rimasti in pochi: resti a casa e in silenzio chi ha paura. Nessun favore dall’Atalanta
Una settimana di insulti: all'allenatore, alla squadra, ai dirigenti, alla proprietà. A me. Una settimana di improperi per la colpa di continuare a crederci: dalle poche decine di commenti dopo le vittorie su Juventus e Torino, i miei account social sono stati intasati da centinaia di strali della nuova generazione di tifosi esacerbati. Affamati di trionfi e sofferenze, vittorie esaltanti e sconfitte cocenti che non hanno vissuto. Popolazione cui si è aggregata la schiera di filosofi beffardi che sapevano tutto, avevano già letto tutto per bene, al dettaglio: "Milan mediocre, da sesto/settimo posto, quello che stanno facendo è un miracolo, ma vedrete come andrà a finire". Non contano nulla, i numeri, i record, le partite, il campionato migliore da 9 anni a questa parte. Rigorini, Ibra e un po' di culo ci hanno tenuti a galla. Questo è il mood dei milanisti, perché se c'è una maggioranza che la pensa diversamente, be' quella è tristemente silenziosa e casomai si è fatta contagiare dal disfattismo strisciante.
Mai come in questi ultimi mesi mi sono sentito più vicino alla Curva Sud che a tastieristi prevenuti e volgari, negativi al limite dei gufi. La Curva sostiene, manifesta, sbandiera, canta, incoraggia. Carica. La Curva Sud ha letto la realtà che stiamo vivendo meglio di analisti e filosofi che cinguettano su twitter o imbrattano pagine e pagine di Facebook. Il nemico più cieco e spietato lo avevamo in casa: lo sapevo, me ne sono accorto da tempo. Persino in chat private di milanisti ho che fare ogni giorno con impressionisti del noir che dipingono sempre, tutto, a tinte fosche. Nemmeno nella cavalcata del 2020 aveva preso un po' di coraggio quella becera fetta di becchini che vivono con vanga e mantello nero, come i condor che sorvolano la spianata assolata in cerca della carcassa. Sicuri che prima o poi me troveranno una.
Qual è il gusto dell'ansia, dell'angoscia, del pessimismo, in attesa di un evento? Perché rovinarsi l'avvicinamento, perché danzare macumbe forsennate contro qualcosa che si ama? Perché non la si ama affatto. Perché non capire quanto (e tanto) di buono è stato fatto arrivando a una volata inattesa, insperata, impronosticabile? Non sono uno struzzo: domenica sera sono stato male, a metà ripresa ho avuto persino paura perché sono aumentati battiti e palpitazioni in modo anomalo e accelerato. Ho sofferto ed ero deluso, choccato da quello 0-0 inerme contro una Cagliari più teatrante che concreto: aspettavano di prendere il gol e se ne sarebbero andati a casa, intanto facevano un po' di cinema con l'arbitro, stavano tutti là dietro, ma non ci venivano addosso. Bisognava capirlo e assaltarli. La delusione insopportabile per il matchball, un matchball che più comodo non si poteva attendere dopo la salvezza dei sardi nel pomeriggio, appresa in ritiro e festeggiata con canti, cori e birra. Mi sono sentito tradito, come voi. Come tutti.
Dopo il fischio finale sono passati pochi minuti e l'agitazione, come sempre, si è trasformata in energia. Energia positiva, care le mie cassandre. Abbiamo bucato all'ultimo giro: bene, pit-stop a tempo di record e ripartiamo. Terzi eravamo e terzi siamo rimasti anche dopo il cambio gomme. Abbiamo fallito il matchball: bene, siamo al tie-break. Impariamo da Sonego, Berrettini, Sinner, i nostri araldi del tennis che danno il meglio dal buio dello sprofondo. Che si rialzano quando sono in ginocchio. Che riaprono partite chiuse. Siamo pronti alla sfida, soltanto dopo inizieranno analisi, valutazioni, pensieri, ma prima bisogna conquistare ciò che ci spetta.
Andiamo a giocare e vincere la partita di Champions a Bergamo. Andiamo a vivere una notte da Milan. Chi ha paura, chi non ci crede, chi è pessimista, stia a casa. E ci resti anche lunedì. Noi abbiamo un animo guerriero: ci piace combattere, anche quando siamo ormai sconfitti, non sappiamo arrenderci prima di scendere in campo. Come piace invece a troppi di voi.
L’Atalanta non farà sconti, scordatevelo. Farà la sua partita. Le scorie della finale si faranno sentire in un modo o nell’altro, ma loro sono abituati a trasformare la tensione in energia positiva. Lo fa anche il Milan da molti mesi, si è sempre rialzato con orgoglio dopo i passi falsi. Con più coraggio e determinazione di molti suoi tifosi. Gli altri, noi 70.000 di San Siro per una partita di serie B con la Cavese, aspettano con fiducia. E sostengono.