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Il caso Tevez: un caso Suazo alla rovescia. Gila, Borriello, Matri, quelli del Milan...De Rossi e il segno dei tempi...

di Mauro Suma

Dunque non è pù una sorta di reato trattare Carlitos Tevez. Adesso che arrivano i nostri, l'operazione è stata eticamente sdoganata. Con buona pace però di qualche buontempone, magari gli stessi che a Ferragosto avevano fatto fuori Cassano dal Milan, per i quali il mondo ideale è Pato al Psg, Tevez all'Inter e Maxi Lopez al Milan, il Club rossonero resta in vantaggio. Ed è già un bel risultato, visto che con tutto quel reticolo che va da Moratti a Mancini per finire agli argentini, il Milan gioca chiaramente fuori casa sul piano ambientale. Ma il vantaggio c'è e non lo possono negare nemmeno i taccuini ammiccanti per i quali è legge solo ciò che trapela dagli ambienti nerazzurri. Il vantaggio, esattamente come accadde nell'estate 2007 a favore dell'Inter sul fronte dell'honduregno David Suazo, il Milan ha un accordo con il giocatore che l'Inter non ha. E il giocatore in questione è Carlitos Tevez, un uomo che ha una sola parola e che ha già fatto la sua scelta. Tutt'altro che en passant come direbbero dalle parti del PSG: i dirigenti parigini infatti hanno già fatto i conti il 10 Dicembre ultimo scorso con la reale volontà dell’Apache argentino.
In ogni caso, comunque vada a finire l'intreccio, quel giovedì 5 Gennaio 2012, con il volo della speranza e con l’incontro della vita, è stato divertente. Carlitos Tevez, infatti, è improvvisamente dimagrito ed è miracolosamente migliorato sul piano dell’aplomb e dell’educazione. Quel giocatore che, per i tifosi che scrivono e che parlano, nei giorni in cui sembrava esserci solo il Milan al comando nell’operazione, era grasso e turbolento, si è clamorosamente trasformato: magro, solo un po’ burbero ma tutto sommato forte caratterialmente, pronto subito per il campo, protagonista di un grande derby di mercato. E soprattutto durante il Milano-Londra della speranza, non si sono più uditi gli appelli strappalacrime riservati al Milan. Gli appelli politicamente corretti a non prenderlo con la crisi economica che c’è, non sono stati ripetuti. Non era il caso. Se lo prende il Milan di Berlusconi fermi tutti, c’è la crisi, troppi caratteracci a Milanello. Se vola su Tevez una squadra politicamente più corretta invece non solo sparisce il vincolo del “fainancial” fair play ma, a pensarci bene, un Tevez in più farebbe bene alla Serie A, al movimento calcistico italiano, a tutto l’indotto.

E’ stato un giorno divertente il 5 Gennaio, molto divertente.

Nel Milan 2006-2007 vincitore della Coppa dei Campioni ad Atene il reparto delle punte era composto da: Ronaldo, Gilardino, Inzaghi, Ricardo Oliveira e Borriello. Ai margini di questo gruppetto, già folto, c’era il giovanissimo Alessandro Matri di proprietà del Milan ma in prestito al Rimini. E’ curioso che quattro-cinque anni dopo le tre riserve 2007 di Ronaldo in Campionato e di Inzaghi in Champions siano i protagonisti assoluti del mercato di Gennaio 2012. Il Gila, che non è riuscito a strutturarsi caratterialmente dopo quella strepitosa stagione nel Parma 2003-2004, ha ritenuto di lasciare un progetto economicamente e strategicamente in involuzione come quello di Firenze. La squadra viola ristagna, il mercato langue, i tifosi sono esasperati. Sotto la Curva Nord di Marassi, Alberto può ritrovare carica e stimoli. Magari ne sentirà la mancanza in trasferta, ma non si può spaccare il capello in quattro. Marco Borriello lascia Roma e cerca riparo dalle parti di Antonio Conte. Con Andrea Pirlo a lanciarlo, Marco cercherà più l’area che le fasce. Solo due “ma”: Marco non trova proprio pace. Nel 2008 lascia il Milan e fa il salto di qualità a Genova centrando la qualificazione all’Europeo, nel 2009 torna al Milan ma prima si infortuna e poi fa 14 gol nella stagione successiva che servono solo ad un terzo posto, nel 2010 lascia Milano convinto di aver trovato la squadra della carriera con l’annamo a vince di De Rossi, oggi si libera della delusione per le panchine inflittegli da Luis Enrique e approccia il caratterino del suo nuovo allenatore sotto quella nebbia di Vinovo che forse non si addice del tutto al suo carattere caliente e solare. L’altro “ma” è proprio Matri. Alessandro, un po’ più giovane, è della stessa estrazione e appartiene alla stessa fascia di rendimento di Marco. Sono entrambi due ottimi attaccanti di corsa e di colpi da 15 gol a stagione. Perché accoppiarli e innervosirli? Perché Matri ha sbagliato due-tre partite a Dicembre? Attento Marco…

La posta in palio su Daniele De Rossi non è solo un prolungamento di contratto. Sarebbe troppo banale e il calcio, una metafora della vita, merita che non si sottovaluti nulla. De Rossi sempre saldo in giallorosso è né più né meno che il simbolo della permanenza della Capitale al top del calcio italiano. Senza De Rossi, con una proprietà senza radici giallorosse e dai contorni economici non ancora definiti, con una dirigenza che si priva di Borriello ai primi giorni di Gennaio e che rimane spiazzata dall’infortunio di Osvaldo, la prospettiva sarebbe il declino. Quello serio, quello vero. Peccato, proprio ora che la Roma era riuscita non solo a convincere ma anche a vincere, vedi Bologna e vedi soprattutto Napoli. Fa un po’ malinconia la Roma. Un anno e mezzo fa la squadra giallorossa, alla fine del primo tempo dell’ultima giornata di Serie A, era campione d’Italia. Oggi galleggia, naviga a vista fra compratori incerti e bandiere in balia degli eventi. Il calcio italiano ha bisogno di Roma e della Roma, esattamente come nella scorsa stagione aveva bisogno della Juventus. E con un De Rossi impacchettato degli sceicchi, Roma e la Roma non sarebbero più la stessa cosa. Di cessioni in questi anni da Chivu a Mancini, da Aquilani a Vucinic, ce ne sono state tante, ma De Rossi sarebbe un segno dei tempi, non un semplice trasferimento di mercato. Tutti i tifosi italiani, perché si può essere italiani cogliendo anche il senso di svolta di una prestigiosa squadra avversaria, devono tifare per la permanenza di un grande azzurro in maglia giallorossa.


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