.

Gli alibi e le cause del cedimento sono chiare ma dopo la Fiorentina qualcuno si è arreso...

di Luca Serafini

E’ passato sotto traccia il titolo letto martedì sulla pagina sportiva di un quotidiano, “Allegri chiama chi ci crede ancora”. Il fatto che poi quel titolo non sia stato smentito e nemmeno citato, nella conferenza stampa della vigilia, ha reso quella denuncia ancora più eclatante. La sensazione che rimane, peraltro già insinuatasi senza bisogno di quel titolo, è forte: dopo lo scontro diretto con la Juventus in campionato e il ritorno in Coppa Italia (nonostante l’eliminazione), qualcuno al Milan si è convinto che lo scudetto fosse già rivinto e ha pensato soltanto al Barcellona. Sperando nell’impresa. Non essendo riuscita, il contraccolpo è stato ancor più violento.
Le motivazioni vanno trasmesse, su questo non c’è dubbio, ma sarebbe lecito trovarle anche da soli quando si indossa una certa maglia. Quando si decide di buttare a mare prima Pirlo, poi Ambrosini, Gattuso, Seedorf, Van Bommel, lo stesso Inzaghi, bisogna pensare che non è facile trovare dei leader, degli esempi, dei modelli. Al Milan di un tempo non fu necessario farli giocare (Tassotti, Donadoni, Costacurta), bastò tenerli in circolazione qualche tempo ancora negli spogliatoi affinché i nuovi capissero dove si trovavano, dove vivevano, come dovevano pensare e comportarsi. Al fatto grave di sentirsi la qualificazione in tasca a Londra contro l’Arsenal, andando con 2 portieri in panchina e rischiando una delle umiliazioni più cocenti, è seguito quello di sentire in tasca il secondo scudetto e per questo è stato cervellotico mandare in campo Thiago Silva e Ibrahimovic a Torino, in una Coppa Italia già compromessa all’andata e che comunque non ha mai costituito un obiettivo serio e credibile per la società. La quale però, istigata dal gol annullato a Muntari in campionato, smaniava per dimostrare la superiorità sulla Juventus in campo. Da quella maledetta semifinale di ritorno in Coppa Italia è sortita l’assenza di Thiago Silva, proprio nel momento-chiave della stagione, una follia che mercoledì scorso dopo l’asmatico 1-0 sul Genoa, in sala stampa Allegri ha definito “un errore”, salvo immediatamente correggersi. Un’assenza, quella di Thiago, che si è accatastata a quelle croniche, fra cui le 3 più eccellenti certamente quelle di Pato, Boateng e Robinho. Bravi ragazzi, non esattamente cuori di leone. No, non esattamente. Non cuori di Gattuso. Di Nesta. Di Yepes. Eccetera. Dopo l’1-2 a San Siro con la Fiorentina, qualcuno ha smesso di crederci e la vittoria di Verona infatti è arrivata più grazie al cuore di chi si è battuto, che grazie all’ardore.
Non stiamo dicendo come questo scudetto stia volando via per colpa di Pato, Boateng e Robinho. Sarebbe miope. Stiamo dicendo che per arrendersi c’è sempre tempo, te lo dice l’aritmetica quando è inutile continuare a lottare: qualcuno non l’ha attesa, qualcun altro non ha ricordato con sufficiente energia questi concetti. Per il gol non convalidato a Muntari, gli errori arbitrali, gli infortuni, ci sarà spazio. Ma dovrà avere un suo spazio, ampio, molto approfondito, anche un bell’esame di coscienza collettivo.  
Era, è, un momento in cui serve coraggio. Facciamo qualche esempio. Abate dopo un girone di andata eccellente, ha accusato un doppio infortunio che ne ha condizionato il rendimento. Antonini ci mette l’anima (almeno lui), ma tira la carretta dall’inizio, ha avuto problemi recenti a sua volta. Emanuelson nel ruolo di terzino sembrava una soluzione credibile, efficiente. Una rinuncia al trequartista in assenza di Boateng, viste le condizioni di Seedorf e i tristi vincoli legati ad Aquilani, poteva voler dire un assetto tattico differente. Vero, non c’è il tempo di provare novità perché non c’è tempo per gli allenamenti giocando ogni 3 giorni. Ma c’era il tempo di capire che qualcosa si poteva e si doveva trovare. Maxi Lopez è parso tra i più brillanti nell’ultimo mese, eppure ha giocato solo con la Fiorentina. El Shaarawy corre e si batte, con il Bologna era in tribuna. Scelte. Scelte che hanno interessato le strategie e le formazioni. Scelte che, sommate ad arbitri infortuni eccetera, hanno determinato il sorpasso bianconero da +4 a -3. 
I primi tempi contro Fiorentina, Bologna e Genoa rispetto ai secondi tempi delle medesime partite, hanno dimostrato che il vuoto era in testa più che nelle gambe. Un vuoto che si è creato quando è sfumata la presunzione. Ora ci sono 360’ per smentire i cattivi pensieri, ci sono 4 partite per dirci come e dove, eventualmente, ci siamo sbagliati noi.


Altre notizie
PUBBLICITÀ