Calcio dominante? No. Giocare di rimessa non è reato, specie con questa rosa. Fonseca si gioca tanto (forse tutto) in 270 minuti
Sia Zlatan Ibrahimovic sia Paulo Fonseca, in diverse uscite pubbliche, hanno parlato della volontà del Milan di giocare un “calcio dominante”, che porti il pallone maggiormente nella metà campo offensiva. Una situazione che, a livello filosofico, piace a tutti perché chi è che non vorrebbe vedere la propria squadra fare un gioco scintillante ed efficace? Tutti vorremmo vedere un Milan dall’alto tasso qualitativo nella metà campo avversaria e con una fase di non possesso più coordinata e aggressiva.
Ma guardando le caratteristiche di tanti calciatori presenti in questa rosa e riavvolgendo il nastro alle ultime stagioni, viene da chiedersi: “Ma le migliori prove del Milan con le grandi, come sono arrivate?”. L’ultima prestazione esaltante è stata quella contro il Paris Saint-Germain in Champions League, dove Pioli cambiò gioco-forza l’impostazione della partita scegliendo un Milan più raccolto, compatto e pronto a sgasare a campo aperto. Lì si è visto il miglior Loftus-Cheek dell’anno dal punto di vista del dominio fisico, un Pulisic tanto autorevole quanto operaio e, soprattutto, Theo Hernandez e Rafael Leao in modalità scudetto. E se si pensa anche alle doti di Reijnders sulla progressione e quelle di Morata, vien da pensare che il Milan può essere dominante non tanto con il palleggio e la costruzione dal basso, ma facendosi attaccare e ripartendo in maniera letale. Non c’è nulla di male nel rendersene conto e nel modificare un assetto e una mentalità globale che ha portato il Milan a fare buchi su buchi in difesa, sia con Pioli sia con Fonseca.
L’allenatore portoghese si gioca tanto nelle prossime tre partite. Contro Venezia, Liverpool e Inter passa tanto della sua permanenza al Milan. Specie il derby sarà una cartina di tornasole pressoché decisiva, anche perché la piazza (non solo quella social) è tutt’altro che quieta. Non è ammissibile pensare di tifare contro il Milan, qui tutti vorremmo una situazione più stabile e vincente, ma serve tornare a creare un’alchimia importante tra società e calciatori. Quest’ultimi, probabilmente, stanno patendo la mancanza di una figura di campo che non sia solo un dirigente, ma che sia anche una persona con la quale confrontarsi, parlare dei loro problemi personali e tecnici, insomma, uno che non venga visto solo come il datore di lavoro. In Italia funziona così e anche all’estero, specie in Inghilterra, stanno capendo che la figura del direttore sportivo può essere funzionale all’andare meglio in campo. Ibra, sotto questo aspetto, deve fare di più. Piaccia o meno, è lui che può avere un impatto diverso sui giocatori rispetto ai suoi colleghi, con tutto il rispetto per Moncada.