Berlusconi e Mancini dietro al grande valzer. Adesso però Pato in campo subito nel derby
Per giorni, la maggior parte dei giornalisti liberi – soprattutto quelli che seguono il mercato e non hanno nessuna amicizia con dirigenti, procuratori, giocatori – hanno sostenuto che Tevez sarebbe andato all’Inter e Pato sarebbe stato ceduto, così in Champions il Milan avrebbe potuto schierare Pellegatti, Serafini e Suma, però a volte anche la stampa libera e indipendente può sbagliare, sia pure in perfetta buona fede. Al momento, ognuno è rimasto dov’era.
La situazione di Pato ci intristisce: uno come lui avrebbe già dovuto cominciare a spaccare le montagne e suscitare interrogativi, tipo se sia forte come Kakà, o come Sheva, o come Ibra. Chissà che queste settimane di bufera non lo aiutino a fare un salto di qualità, mentale e tattico. Oggi appare naturale paragonare la situazione di Pato a quella di Kakà nel gennaio 2009, stavolta però più che mai il futuro di Pato dipende da se stesso, da quello che farà e deciderà lui. Ha visto cosa è accaduto a Sheva e Kakà in passato, ha dimostrato di sapere cosa significa accettare la sfida di diventare grande nel Milan piuttosto che quella di andare a Parigi nel 5° campionato europeo.
Poteva, doveva spaccare il mondo, dicevamo. Ha spaccato i tifosi, invece. Ha spaccato i suoi allenatori, i suoi C.T., i suoi compagni. Ha spaccato la critica. Per nessuno di questi Pato è già un valore assoluto, per tutti semmai lo diventerà. Noi non lo venderemmo mai, per non sbagliare. E’ un fatto però che metà dei tifosi del Milan ieri non fossero più di tanto né sorpresi, né arrabbiati. Piuttosto, irritati e delusi per quello che si sperava accadesse e non è accaduto. Aveva la possibilità, in questi 4 anni e mezzo e in futuro, di crescere, cominciare a imporsi per grandi traguardi, entrare nell’Olimpo del calcio mondiale, diventare un perno della squadra rossonera e della sua Nazionale. Nell’ultimo anno solo infortuni, gossip e gol con il contagocce. Si è dato un’altra scadenza adesso: giugno 2012. Continuiamo a fare il tifo per lui, convinti che sia assolutamente il caso di mandarlo in campo dal primo minuto nel derby. E di continuare a sperare che un giorno lotterà per il “Pallone d’oro”.
Niente ci leverà mai dalla testa che dietro questo valzer ci sia stato dal primo momento Roberto Mancini, l’unico allenatore-manager esportato dal calcio italiano. E’ lui che ha sensibilizzato lo sceicco sull’opportunità di monetizzare Tevez, è lui che ha messo la pulce nell’orecchio all’Inter (e il fatto che possa anche restare al palo, magari neppure gli dispiace così tanto…), è lui che adesso sta rizzando le antenne su Pato. Di Pato, Mancini parlava quando il brasiliano aveva 15 anni, per la cronaca. E’ uno che ha fatto una squadra di calcio con Silva, Aguero, Touré e Balotelli, chissà che faccia farà leggendo che a Parigi inseguono Kakà, Thiago Motta, Lampard, Maxwell, Maicon…
E’ ora di tranquillizzare gli italiani: ebbene sì, è vero che la stampa sportiva nostrana è intellettualmente prostituita, ma per fortuna il fenomeno è circoscritto. Nel panorama nazionale infatti esistono soltanto 3 conclamate serve puttane al servizio del padrone: (in ordine alfabetico) Carlo Pellegatti, Luca Serafini e Mauro Suma. Tutti gli altri sono liberi opinionisti sotto traccia (Inter e Juventus) o sani, genuini tifosi (Roma, Napoli e qualche altra squadra) onesti e credibili, al soldo di nessuno. Velinari e ventriloqui non hanno bandiera, non sono tifosi, in nessun caso: sono liberi indipendenti giornalisti super-partes, equidistanti e imparziali, riflessivi e per niente provocatori. Quindi nessuno abbia timore, il fenomeno è controllato e controllabile. Specie adesso che anche Mediaset, la televisione di Famiglia, è stata sculacciata pubblicamente per aver pensato, attraverso un ex arbitro e un opinionista, che quello di Bergamo non fosse rigore. L’informazione sportiva italiana non è inquinata, cari lettori. Basta stare alla larga da Pellegatti, Serafini e Suma, il resto è democrazia e libertà.
Lo dimostra anche il fatto che chiunque, su radio, tv, giornali, canali privati, possa dire e scrivere – di fatto – da giorni, che al Milan lavora un branco di pirla e per questo li bacchettano di continuo. Un branco che passeggia per via Turati e pranza a Ipanema con Tevez e il suo procuratore, si fa riprendere da telecamere e macchine fotografiche, poi se lo fanno soffiare dallo stratega Branca. Gente che si fa bacchettare da Massimo Mauro su “Repubblica” perché in questo momento di crisi spende 25 milioni per “uno che non gioca da 2 mesi” (come Cassano un anno fa…) e poi “se invece lo prendesse Moratti sarebbe una libidine”. Un branco che sta ad ascoltare il PSG dello sceicco più ricco dell’universo, il quale offre 25 milioni più bonus per Pato quando ne ha spesi 43 per Pastore pochi mesi fa. Gente che cerca Muntari per un dispettuccio all’emiro di Milano. Gente che non rinnova il contratto ad Allegri. Gente che su Tevez, Pato, l’Inter, il rinnovo di Allegri, il derby, non dice una parola, una sillaba da settimane. Gente che, infatti, ascolta in silenzio Moratti dire a dicembre che “a queste cifre non trattiamo Tevez” e che a gennaio rilancia “noi non scherziamo” (forse a Natale ha fatto tombola). Gente che impone le clausole nel contratto di Allegri: “Se vinci resti, se no te ne vai”. Come se esistesse uno che può allenare il Milan senza vincere un cacchio. Solo Pellegatti, Serafini e Suma pongono eccezioni su questi temi, perché sono proni, ma cosa vuoi che sia... Ora i giornalisti liberi sostengono che sia stata grande la tattica dell’Inter che ha costretto il Milan a vendere Pato inserendosi nella trattativa col City. Può darsi. A volte anche la stampa libera e indipendente può sbagliare, sia pure in perfetta buona fede, ma può darsi che in malafede sbagliamo noi a non crederci. Da servi proni e da vecchie prostituite da marciapiede, niente ci leverà mai dalla testa che l’ultima parola sulle questioni del Milan la dica Berlusconi.
Nel frattempo, rinnovo o non rinnovo, il Milan dia un segnale forte di fiducia ad Allegri. Nel calcio purtroppo non c’è niente come l’incertezza sul futuro dell’allenatore a far rilassare, distrarre una squadra. Sarebbe un peccato.
La discussione tra Paparesta e Pistocchi da una parte (Premium Calcio), Allegri dall’altra, domenica scorsa verteva su una questione tecnica, di calcio. Rigore o non rigore. Inelegante rinfacciare il passato a Paparesta e poi precludere il lavoro a tutta la redazione nella settimana del derby. Il fatto che nel 2012 il vezzo delle ritorsioni ad alzo zero possa estendersi anche a un club come il Milan e a un’azienda come Mediaset, non lo rende più eclatante, ma semplicemente più triste.