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Altra sosta a fari spenti. Le porte girevoli di Milanello. Allegri e le molte ombre. C'era una volta il capitano...

di Luca Serafini

La statistica dopo le prime 9 partite stagionali, negli ultimi 2 lustri, ha fornito spunti per un'interessante approfondimento di MilanNews. Questa del 2024-25 è la versione peggiore tra quelle di Pioli, Inzaghi, Montella, Mihajlovic, Gattuso, persino Giampaolo. I contesti, è specificato, sono diversi perché comprendono 2 gare di Champions cui il solo Pioli, tra i predecessori di Fonseca, aveva partecipato. La sostanza però non cambia: questa è probabilmente la squadra più forte degli ultimi 10 anni, ma ha messo insieme 3 vittorie, 2 pareggi e 4 sconfitte segnando 16 gol (7 tra Venezia e Lecce) e subendone 13. Alla seconda sosta stagionale il Milan è arrivato di nuovo a fari spenti, in un turbinio di polemiche, pasticci tecnici e comportamentali, contraddizioni, abbondando solo in discontinuità marchiata dalla modestia di gioco e di atteggiamenti. 

E' molto difficile capire come si possa uscire da questo imbuto, prova a spiegarcelo sistematicamente Gabbia a fine partita perché - con l'allenatore - è l'unico a parlare, a metterci la faccia. Non conto più le volte in cui, negli ultimi 2 anni, ho fatto appello alla professionalità, alla serietà, all'amor proprio della squadra perché alla fine sono i giocatori a esprimere in campo il risultato di ciò che avviene a Milanello e in sede. Il filo conduttore è una carenza comunicativa assodata, uno smarrimento dei valori che pure sembravano aver arricchito una rosa da completare, ma è evidente che i colpi di tosse del mercato - in entrata e in uscita - non hanno ancora trovato lo sciroppo guaritore, né un minimo palliativo. 

E' difficile fronteggiare la crescente ondata di malumore dei tifosi, annichiliti da previsioni estive che andavano in questa direzione e che puntualmente si ritrovano nella mediocrità cui stiamo assistendo. Un buon derby, i lampi contro 2 pericolanti, un tempo scarso a Leverkusen... Sono poco, troppo poco. Quasi niente. Intorno al letto del paziente danzano gli avvoltoi, ravanando con il becco su qualsiasi brandello che possa ulteriormente scalfire la speranza o il briciolo di fiducia spolverati da uno straccio. E purtroppo siamo forieri di spunti: Kalulu e Daniel Maldini scaricati, Gabbia in Nazionale e Pavlovic in panchina, il cooling break di Roma, la querelle sui rigori di Firenze, il rinnovo di Theo, le paturnie di Morata, i dubbi su Abraham, le perplessità su Emerson Royal, l'insofferenza verso Leao. Ce n'è di che banchettare...

In questo scenario sguazzano giornali e tv che riflettono la situazione con taccuini e telecamere rivolte verso i cancelli di Milanello: chi arriva e chi non arriva, ogni santo giorno. C'è Furlani, non c'è Ibra, c'è Ibra, non c'è Moncada, non c'è Furlani, c'è Moncada, ci sono Ibra e Furlani, non c'è nessuno... Il bollettino quotidiano riguarda solo le chiocce del Milan, non c'è altra squadra che abbia un notiziario così assiduo su quale dirigente sia o non sia presente agli allenamenti. Traducendo l'una o l'altra cosa come vicinanza alla squadra o disinteresse, ira da sfogare a Casa Milan o lezioncine da impartire negli spogliatoi, invadenza nel lavoro di Fonseca, carote e bastoni sparsi per i giocatori. Come all'asilo. Un fatto mediatico, certo, ma la stampa vi si è affezionata e i tifosi lo leggono come un termometro credibile. 

La posizione del tecnico è in bilico, pericolante, crepata come un vecchio muretto di campagna. Nulla di nuovo, il calcio si misura a risultati e di questi abbiamo parlato nelle prime righe. Deludenti, avvilenti. Si agitano fantasmi alle spalle di Fonseca: "Scordatevi Sarri", "Allegri l'uomo giusto", "Tudor", "Sono liberi Tuchel e Terzic che piacciono a Ibra", "Torna l'idea Coinceçao". Quando, e come, se ne uscirà? Servono un'analisi lucida, approfondita, e - altra parola che ho inflazionato negli editoriali degli ultimi mesi - coraggio. Smentire sé stessi è sempre molto complicato, difficilissimo, ma il Fondo Elliott lo fece abbandonando Ragnick e tenendosi Pioli.

In questi giorni Billy Costacurta mi ha detto di aver fatto una ricerca sulle presenze nel Milan di Franco Baresi e Paolo Maldini con la fascia da capitani: insieme ne hanno collezionate circa un migliaio. Circa un migliaio... Espulsioni per proteste? Zero. Negli ultimi anni di gloria dell'epoca Berlusconi, quella che precedette il crepuscolo degli Honda, Birsa e compagnia, Galliani si era fissato con i capitani (di club e Nazionali): prese Yepes, Stam, Van Bommel, Cafu e qualche altro. Stagionati, veterani, bucanieri, ma capitani. Avevano ancora qualcosa da insegnare e anche da imparare, con umiltà, abnegazione, senso del dovere. Si impegnavano ancora come avevano fatto per tutta la loro carriera. Il capitano è l'esempio, è il modello, è il punto di riferimento, in campo e nello spogliatoio. Questa lotteria della fascia non mi sembra costruttiva, specie se produce cooling break isolati, palloni sottratti al compagno sul dischetto, espulsioni a gara finita, rendimento altalenante tendente al piatto. 

Possiamo continuare a prendercela con la proprietà, la dirigenza, l'allenatore, perché in un momento così buio la critica è feroce, giusta anche quando travalica la lucidità, ma resto dell'idea che sia alla squadra, al suo capitano o ai suoi capitani, che dovremmo chiedere di riaccendere la luce per primi. E indicare la strada a chi li segue, anche se per un giorno restano in ufficio a Casa Milan e non vanno a Milanello.


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