Una sconfitta, tanti insegnamenti: ora vietato sbagliare
Sul derby si è scritto di tutto e di più e non serve affondare ulteriormente il coltello nella piaga. D'altra parte, però, è giusto esprimere alcune considerazioni. Ed è inutile girarci intorno: il pessimo spettacolo offerto nella stracittadina non è colpa soltanto dell'allenatore, né dei giocatori, così come il singhiozzante avvio di stagione non può essere imputato esclusivamente alla nuova dirigenza o alla proprietà. Il Milan attuale è figlio degli errori del recente passato (l'ultimo Berlusconi e il disastro in salsa cinese in particolare), e in questo senso i numeri non mentono: dal 2013-14, sulla panchina rossonera si sono avvicendati otto tecnici; dall'ultimo Scudetto a oggi, il Diavolo ha vinto in campionato solo 4 dei 33 confronti disputati contro le rivali di sempre, Inter e Juventus. Due a testa, si possono contare sulle dita di una mano. La rabbia lascia spazio allo sconforto, alla rassegnazione e all'imbarazzo: si vedrà mai la luce in fondo al tunnel?
La risposta è: "Sì, riemergere è possibile". E la strada da seguire, per il fondo Elliott, deve essere quella tracciata proprio dall'Inter di Suning. Suona strano, ma è così: dopo un inizio tutt'altro che promettente (settimo posto e ben quattro avvicendamenti in panchina), la famiglia Zhang si è affidata a Luciano Spalletti per tornare in Champions League e ha lavorato benissimo sotto l'aspetto finanziario, rivolgendosi agli uomini giusti e uscendo dal regime di Settlement Agreement imposto dalla UEFA. L'ultima campagna acquisti ha certificato le ambizioni della società nerazzurra, che è tornata a spendere tanto e ha convinto il miglior allenatore e il miglior amministratore delegato sulla piazza ad accettare la sfida. Si parla tanto di Antonio Conte e del suo impatto sull'ambiente interista, ma i primi successi si ottengono sempre dietro le scrivanie. Quando c'è una struttura solida, quando ci sono idee e programmazione, quando c'è continuità è tutto più semplice. Si pianifica meglio e si investe meglio. Ed è esattamente quello che è mancato al Milan: troppi cambi di figure al comando e alla gestione del club, troppi dubbi e divergenze sul progetto tecnico. Problemi radicati e profondi, che si riflettono sulle prestazioni di una squadra a cui manca coraggio, che mostra un atteggiamento passivo e non riesce a reagire nei momenti di difficoltà. Il derby ha messo in luce ancora una volta questi limiti - anche dell'allenatore -, ma attribuire responsabilità specifiche, dividersi su chi sia più o meno colpevole è dannoso, un inutile spreco di energie. Ora c'è bisogno di compattezza, di ritrovare qualche certezza e di prendere decisioni difficili. Ed è necessario tirar fuori gli artigli: Torino, Fiorentina e Genoa sono tre avversari ostici e forse ideali per dare risposte e vedere all'opera tanti giocatori più liberi mentalmente, da Bennacer a Theo Hernandez, fino a Krunic e Rebic. Marco Giampaolo deve osare e dimostrare di meritare quegli elogi che tutti gli addetti ai lavori, in primis i colleghi, gli hanno riservato in estate. Meno filosofia, più gioco. Meno fissazioni ed elucubrazioni mentali, più realtà e concretezza. All'Inter ci sono voluti tre anni per ricostruire ed essere nuovamente competitiva; il Milan è all'inizio del secondo, quello che non può prescindere dalla qualificazione all'Europa che conta. Un obiettivo fondamentale, che rende le prossime tre sfide decisive. Pazienza e fiducia, nel calcio, hanno vita breve.