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La grande illusione: il destino di Pioli e il sogno per il futuro

di Fabrizio Tomasello

Il day after di Lazio-Milan per i tifosi rossoneri è come quei risvegli dopo un sogno meraviglioso: all’inizio incredulità, poi smarrimento, infine delusione, sconforto e tristezza. Il sentimento del popolo milanista oggi è questo, appesantito da tanti piccoli grandi episodi quali l’indecente e francamente oltraggiosa decisione dell’ineffabile Orsato in occasione del raddoppio biancoceleste, la risata a 32 denti del “capitano” Gianluigi Donnarumma (come dicono tanti tifosi sui social, ormai l’amichevole Gigio non esiste più) al termine di una scoppola epocale, gli sfottò dei dirimpettai di San Siro che volano verso lo scudetto etc. etc. Sia chiaro, non è ancora il momento di recitare il de profundis, anche perchè, per quanto assurdo possa sembrare, il Milan ha ancora il coltello dalla parte del manico ed è padrone del proprio destino. Vincendo infatti le ultime 5 gare, la squadra di Pioli arriverebbe seconda e salverebbe la stagione. Alzi la mano però chi, dopo aver vivisezionato nei dettagli la straziante prestazione di Calhanoglu e compagni contro la Lazio, pensa che una cosa del genere sia ancora possibile. Che poi la partita giocata dal Milan non è stata nemmeno così oscena, anzi, per lunghi tratti del match ha dominato il campo e ha dimostrato che a qualità del gioco sono poche le squadre a giocarsela con i rossoneri. Il problema però è sempre il solito: concretezza questa sconosciuta. Le quattro/cinque stupefacenti occasioni da gol create nel match - picconate dall’insolenza dei vari Saelemaekers, Mandzukic, Calhanoglu, Rebic incapaci di concludere a rete con un minimo di cattiveria agonistica - sono la fotografia di questa seconda parte stagione. Ed ecco venire al pettine tutti i nodi da sciogliere prima della fine del campionato. Tra questi, il primo e fondamentale quesito: cosa fare con l’allenatore? Lo dico con sofferenza, perchè nell’anno e mezzo di mister Pioli ho visto giocare bene i ragazzi come forse non mi capitava da 15 anni, dai migliori anni dell’esperienza ancelottiana. Poi però a pendere sull’altro piatto della bilancia c’è il risultato: se il Milan dovesse finire fuori dai quattro posti Champions sarebbe la prima squadra nell’era dei tre punti a scivolare dal primo al quinto posto nel solo girone di ritorno. Un primato di cui sinceramente faremmo a meno e che confermerebbe un refrain che mi sento ripetere da amici e colleghi di fede laziale, interista e fiorentina ormai da mesi: “Noi ci siamo già passati, cambiate allenatore prima che sia troppo tardi”. Quello che accompagna Pioli non è un anatema ma un inconfutabile limite strutturale che lo contraddistingue da sempre: partenza discreta, cammino eccellente, conclusione horror. Lungi da noi voler analizzare la questione da un punto di vista psicologico ed emozionale, è probabile però che l’allenatore rossonera soffra la pressione, l’obbligo del risultato, la pesantezza dei tre punti decisivi. La sua carriera ce lo racconta. Come si legge sui social: «Una squadra allenata da Pioli ha un destino sportivo chiaro e ineludibile». E purtroppo per i tifosi del Milan non è un destino roseo. Per il futuro il mio personalissimo sogno sarebbe quello di avere a Milanello un allenatore bravo nel far giocare bene la squadra come Pioli e feroce nel conseguimento del risultato come Allegri. Una sorta di Giano Bifronte, capace di guardare contemporaneamente al passato e al futuro, badare all’eleganza ma con cinismo, conquistare la vittoria con la qualità del gioco. Solo un sogno? Chissà. Di sicuro peggiore del sogno dal quale mi sono svegliato mortificato e depresso stamattina non potrà essere.


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