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ESCLUSIVA MN - Mastour: "Mi hanno appiccicato un'etichetta, avevo perso il sorriso. Ora sono pronto a tornare"

di Gaetano Mocciaro

Hachim Mastour è stato il primo grande fenomeno social calcistico, l'enfant prodige che ha attirato l'attenzione di tutti grazie al supporto di Youtube. Era un ragazzino quando il Milan ha sbaragliato la concorrenza internazionale portandoselo a casa. Un continuo bruciare le tappe che lo ha portato a nemmeno 16 anni a sedere in panchina in una partita di Serie A. Oggi Hachim ha 26 anni, ha girato nel frattempo l'Europa e non solo. Si sente cambiato e pronto a ripartire. In esclusiva per MilanNews.it si racconta:

Hachim Mastour, in questi ultimi due anni sei stato lontano dall'Italia
"Sono stato in Marocco, giocando prima in Serie B nella squadra della città d'origine di mia madre (Renaissance Zemamra): ero il capitano della squadra, abbiamo vinto il campionato. Successivamente ho giocato nel massimo campionato, per la squadra del Re (Union Touarga). Mi sono trovato molto bene, mi porto nel mio bagaglio personale tante cose. Ho imparato molto a livello di gruppo e appreso nuove dinamiche di gioco. A livello ambientale poi ho scoperto il Paese d'origine dei miei genitori, imparato bene la lingua araba. A Malaga del resto avevo imparato lo spagnolo e in altre esperienze estere (PEC Zwolle e PAS Lamia, ndr) l'inglese. Per me è stato un ulteriore arricchimento".

Da dove si riparte adesso?
"Ho avuto delle richieste dagli Emirati Arabi. Personalmente vorrei tornare nel campionato italiano che per me è il più importante. Sogno di realizzarmi in questo Paese dove sono nato, cresciuto e di cui sono innamorato".

C'è un senso di rivincita verso l'Italia?
"Non direi, semmai la mia voglia è dettata dal fatto che in Italia c'è una cultura del calcio di altissimo livello, per questo vorrei tornarci a giocare".

Reggina e Carpi le tue esperienze italiane tra i professionisti, oltre al Milan
"Abbiamo vinto la C a Reggio Calabria e ho avuto la possibilità di giocare in Serie B. Poi mi ha chiamato Sandro Pochesci a Carpi, mi voleva come trequartista nel suo modulo: mi ha fatto sentire importante e lo ringrazio vivamente. Giudico queste due esperienze in maniera positiva".

Dall'addio al Carpi è stato difficile reperire informazioni su di te
"Ho fatto un percorso con me stesso, un percorso personale per ritrovare la pace interiore che in questi anni si era un po' persa per vari motivi. Questo percorso mi è servito molto, sono un altro tipo di persona a livello interiore. Fermarmi per qualche mese mi ha aiutato ad acquisire consapevolezza e maturità".

In una recente intervista hai parlato di depressione, dalla quale sei uscito
"È stato un periodo che mi ha portato ad avvicinarmi alla fede. Ho vissuto un percorso spirituale importante che mi ha aiutato a uscirne. Oggi mi sento bene, se prima ero solo Hachim il calciatore ora sono Hachim persona e c'è un Hachim Mastour calciatore. Ho imparato a dividere le due cose, tema essenziale".

Nel mondo del calcio sono in tanti i giocatori caduti nel vortice della depressione. Per te la pressione costante da quando sei un teenager dev'essere stata difficile da sopportare
"Chi fa parte di questo mestiere deve convivere con queste pressioni. Certo, su di me sono state dette molte brutte cose. Mi è stata appiccicata un'etichetta, un’immagine dalla quale cercavo di uscire. Avevo perso il sorriso nel giocare, avevo trovato allenatori che avevano una visione differente dalla mia. Sono un fantasista, loro magari volevano un altro profilo o cercavano di cambiare il mio modo di giocare. Ho vissuto una lotta mia personale. Fa parte del percorso ed aver sofferto umanamente mi ha portato in ogni caso a crescere anche se è stato doloroso".

Che cos'è per te il Milan?
"Per me il Milan è famiglia. Dal primo giorno in cui sono entrato in questo contesto mi sono sentito parte integrante. Ringrazio il dottor Galliani, il presidente Berlusconi che oggi non c'è più. Ringrazio Mauro Bianchessi che mi è stato vicino e Filippo Galli che mi ha sempre fatto sentire come a casa. E i vari allenatori".

Il Milan è anche la squadra del cuore?
"Ho due squadre del cuore, il Milan e il Real Madrid"

Filippo Galli ha spesso esaltato le tue qualità tecniche, che nel calcio di oggi sono difficili da trovare. 
"Il calcio fantasioso è sempre più raro, ci si limita più agli schemi che i calciatori fanno propri e quando si guardano le partite probabilmente il divertimento è minore. Galli era innamorato della mia tecnica e mi dava consigli. Il percorso che lui vedeva per me era più cauto, diverso da quello che ho fatto. Alla fine le mie abilità mi portavano a giocare con quelli più grandi, al punto che dal settore giovanile ho fatto subito il salto in prima squadra. Aveva ragione, avevo bisogno di un percorso più graduale".

Seedorf ti ha portato in panchina che avevi 15 anni. Qualcuna l'hai collezionata con Inzaghi. È mancato però l'esordio
"Io mi sentivo pronto. Sin dai primi allenamenti mi trovavo a mio agio, con Seedorf mi trovavo benissimo e Kakà dal primo giorno mi ha preso sotto la sua ala. Imparare da lui fu incredibile. Era una grande squadra se ripenso ai giocatori che c'erano. Ho un sogno dentro: tornare un giorno al Milan".

Youtube ha amplificato le tue qualità, sotto un certo punto di vista sei stato una "cavia" social. 
"È vero, sono stato l'apripista. Quel che posso dire è che se da una parte è importante crearsi un'immagine, il focus deve rimanere sul campo. E devi circondarti da persone che sanno gestire queste cose, perché per un ragazzo non è facile".

Quanto ti influenzano i messaggi social?
"Cercavo di tenere l'energia lontano da me, ma è inevitabile che i commenti si leggano e persone vicine come amici ti mandino commenti o articoli. Vuoi o non vuoi i commenti ti arrivano e non è facile".

Il Milan di oggi ha un altro enfant prodige che si chiama Francesco Camarda. Su di lui ci sono già enormi aspettative. Cosa senti di dirgli?
"Chiaramente mi rivedo in lui, ha fatto cose che ho fatto io. Quel che gli posso dire è di continuare così, di giocare col sorriso e trovare ogni giorno il piacere di entrare in campo e dimostrare prima di tutto a se stesso che giocatore è. È lui che entra il campo e se non ha la testa libera è difficile, quindi deve essere bravo a liberarsi dalle pressioni. Certo, San Siro fa paura ma a quell'età lì son due le cose: o ti spaventi di entrare o ti esalti. Fa molto parte del carattere del ragazzo, ma penso che l'incoscienza dell'età lo porti a esaltarsi".


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