CorSera - Più rosso che nero: i (pochi) soldi di Yonghong Li

CorSera - Più rosso che nero: i (pochi) soldi di Yonghong LiMilanNews.it
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lunedì 16 ottobre 2017, 12:00Primo Piano
di Redazione MilanNews
fonte di Mario Gerevini per L'Economia, inserto del Corriere della Sera

E' appena arrivato ed è già a caccia di soldi. E a corto di classifica. Tra un anno esatto suonerà il gong dei debiti e Li Yonghong non ha ancora ben chiaro chi è il Milan, dove può arrivare. E i milanisti chi è il cinese, da dove arriva il denaro. Non è un mistero che Mister Li sia un mistero. Quasi come le sue miniere di fosfati. O le partecipazioni in aziende cinesi quotate, presentate come credenziali sul tavolo delle trattative ma nel frattempo evaporate in tutto o in parte. O i costosissimi bond del Milan parcheggiati alla Borsa di Vienna che in cinque mesi non hanno registrato un solo cambio. E che il 15 ottobre 2018 andranno rimborsati insieme a buona parte del debito. L'arrivo el 48enne finanziere del Guangdong residente a Hong Kong dal 1994 ha scompaginato regole consolidate del calcio e della ragioneristica. Come si fa a spendere 200 milioni per la campagna acquisti dopo che ti hanno prestato centinaia di milioni al tasso dell'11% cioé più di quanto pagherebbe di interessi un qualsiasi pensionato da 1500 euro al mese per l'acquisto del frigorifero? Sul faranonico calciomercato e sulla consistenza patrimoniale il povero Li è stato messo in croce quest'estate da James Pallotta che, tra l'alto, di gestione dei debiti se ne intende con la sua Roma. Silvio Berlusconi, poi, non ha avuto parole di incoraggiamento, anzi. E intanto è stata rinviata (ma non è una sorpresa) l'approvazione del bilancio al 30 giugno, un esercizio di soli sei mesi, pi rosso che nero come del resto sarà il prossimo bilancio.

Il punto, a sei mesi dal più faticoso closing della storia calcistica, è che il presidente-minatore è attaccato all'ossigeno dell'hedge fund Elliott di Paul Singer, tifoso dell'Arsenal. Poi tra un anno tireremo le somme e magari nel frattempo il Milan avrà conquistato la qualificazione in Champions League, i milanisti avranno capito chi è davvero Yonghong Li, lui avrà trovato i diamanti nelle sue presunte miniere e fatto luce sulla rete di controversi affari ("Ha illustrato tutto ai legali e alle controparti nella trattativa, ma è riservato, rispettate il suo understatement" dicono al Milan, glorioso club noto in tutto il mondo e insolito rifugio per chi vuole esercitare l'understatement). Intanto, debiti o non debiti, nell'acquisto del Milan - fanno sempre notare gli uomini di Li in rossonero - il businessman cinese ci ha messo centinaia di milioni "suoi" sui 740 totali di valutazione del club, cifra che tra l'altro avrebbe causato una strage di Dom Perignon in casa Fininvest. E' questo delle risorse personali il valido argomento di chi non vede nulla di anomalo in un'operazione che ha una fisiologica componente di leva finaziaria. Se poi Li ha dovuto indebitarsi (330 milioni) a tassi elevati con l'hedge fund Elliott e non con una banca tradzionale, sarebbe stato solo per dribblare la stretta cinese sull'esportazone di capitali e accelerare il closing. Una sorta di prestito ponte, insomma. Ma anche uno "scherzetto" che da solo costerà 50 milioni extra tra interessi e sconti e tutto il Milan in pegno. Tant'è che ora trapelano indiscrezioni su nuovi soci o (più probabilmente) su trattative con banche internazionali per rifinanziare il debito e togliersi il cappio al collo prima che ceda lo sgabello. Sul tavolo del negoziato il proprietario del Milan e l'amministratore delegato Marco Fassone piazzano un piano industriale particolarmente aggressivo, potenzialmente miracoloso sulle attese dei ricavi dalla Cina (183 milioni nel 2018-2019). Intanto l'aumento di capitale estivo da 49 milioni è stato sottoscritto per 27 ma il consiglio ha una delega triennale per altri 60 milioni che mister Li non avrà difficoltà a farsi prestare.



Poi però, stringi stringi, anche su gran parte delle dichiarate risorse personali di Li ci sarebbero il cappello della China Huarong, un gruppo pubblico di asset management che avrebbe anticpato con triangolazione offshore parte dei capitali destinati a Fininvest. Dunque si torna al punto: il mitico "impero" dell'uomo venuto (a Milanello) da Hong Kong. Patrimonio personale di oltre 500 milioni, è stato detto e mai smentito. E in effetti dal documento riservato che lo stesso manager presentava e con cui si accreditava nella trattativa ("Mr Li and his family's asset list) ne esce una somma di asset valutati mezzo miliardo di euro. Valutati da chi, però, non si sa. E 500 milioni di patrimonio "statico", poco redditizio e probabilmente già in garanzia a Huarong, non lasciano alcun margine di manovra a chi, dopo averlo pagato 740 milioni, vuole gestire un club che brucia tra i 5 e i 10 milioni di euro al mese. E poi le sue miniere di fosfati sembrano essere come l'araba fenice.

Fino al 2015 era azionista di maggioranza nella quotata Duolun, ma anche lì (con la minuscola) era tutto in pegno. Un altro asset citato nel curriculum? l'11,4% della Zhuhai Zhongfu (packaging) quotata a Shenzhen che avrebbe un valore di circa 115 milioni. Non viene precisato, però, che un'azienda passata per una gravissima crisi, da anni non distribuisce dividendi, ha rischiato il default per il mancato pagamento di bond e il delisting per le continue perdite. Il valore oggi è quasi la metà. E poi non viene specificato che in realtà Li ha già venduto da due anni buona parte di quella partecipazione dichiarata. Chissà poi se era sua, perchè quell'esatto pacchetto di azioni viene attribuito, secondo alcuni prospetti basati sulle comunicazioni alla Borsa di Shenzen, a un certo Jin Zhong Liu, numero uno della società di packaging e forse anche prestanome di Li. 

Rifinanziamento è adesso la parola d'ordine. Anche per smontare i 128 milioni dei bond "viennesi" al 7,7% che sono finiti in pancia (con il carico a 360 gradi di pegni e garanzie che di fatto stoppa ogni via d'accesso alternativa al credito) a un veicolo di Elliott (Project Redblack) finanziato da due impalpabili società del Delware e King George Investments). Nel frattempo forse si capirà chi è davvero lo schivo presidente del Milan, Yi Yonghong. O per chi lavora.